Qualche sera fa ho guardato – per poi scoprire in realtà che ho riguardato, visto che a un certo punto mi sono reso conto di averlo già visto… (che brutta roba la vecchiaia!) – il documentario su Senna disponibile su Netflix.
Non so se è la storia ad essere ideale in sé o la costruzione che ne fa il documentario, ma questo giovane uomo, morto sul lavoro (guidando su un circuito un’auto di Formula 1), sembra aver avuto la vita perfetta. Di buona famiglia (nel senso di: facoltosa), si avvia – incoraggiato e non osteggiato – al mondo delle corse sin da ragazzino (come spesso accade), con i kart. E’ talentuoso e presto viene fuori per quello che è ed è stato: un campione. E’ molto credente e non ne fa mistero – e lo è al punto da essere quasi preso per i fondelli dagli altri colleghi piloti e dal suo entourage – ed è quindi un buono. Condizione necessaria per trasformarsi da semplice campione di una disciplina in un eroe a tutto tondo perché essere campione significa guadagnare molti soldi e i molti soldi, se arrivi da un paese complesso e tutto sommato povero (soprattutto negli anni ’70-’90 del secolo scorso) come il Brasile e quei soldi li usi per far del bene alla gente, allora diventi un eroe nazional-popolare.
Ma non basta: anche professionalmente la storia è perfetta. Ha un deuteragonista – l’antipatico francesissimo Alain Prost, pilota navigato e ben insediato nella “politica dello sport” – che gli dà filo da torcere e lo costringere a crescere umanamente e professionalmente, evidenziandone ancor di più le caratteristiche del fuoriclasse (che in tempi più recenti ricordano, per certi aspetti, un altro campione, stavolta nostrano e sulle due ruote, Valentino Rossi, che spesso partiva in svantaggio per fare delle rimonte pazzesche e superare tutti arrivando primo…) e poiché il nostro, non solo vuole essere un pilota migliore, ma un uomo migliore, si spende attivamente anche per la sicurezza dei colleghi, durante i brainstorming che si tengono prima di ogni corsa, come dimostra l’episodio accaduto appena un paio di anni prima della sua morte.
Infine c’è quell’alone di presentimento: diversi incidenti accadono poco prima di quello che gli sarà fatale. Come fossero moniti. Presentimento tanto forte che finanche il medico ufficiale dei Gran Premi di Formula 1, Sid Watkins, che di Senna era amico, arriva a dire al pilota brasiliano, a commento della morte di Roland Ratzenberger – pilota austriaco coetaneo (di Senna) – avvenuta il giorno prima (30 aprile) durante le prove della gara di Imola (Gran Premio di San Marino), che se avesse voluto non gareggiare e ritirarsi, lo avrebbe potuto fare. Anzi: avrebbe pure potuto dire addio alle gare e sarebbero potuti andare a pesca insieme. Il giorno precedente la morte di Ratzenberger ebbe un incidente molto grave e spettacolare, ma per fortuna senza danni, il connazionale Rubens Barrichello e Ayrton si precipitò all’ospedale per vedere come stava il suo giovane pupillo. Insomma se Senna fosse stato superstizioso anziché religioso, quel 1° maggio di 30 anni fa non avrebbe corso. Ma così non fu e anzi, proprio nella sua fede cercò il conforto, un messaggio, un segnale: la mattina del 1º maggio 1994, poche ore prima del tragico incidente, lesse un passo della Bibbia che diceva: “Oggi Dio ti farà il suo dono più grande, Dio stesso” (la frase pare sia in realtà: “Oggi ti darò la ricompensa più grande che posso. Ti darò me stesso”, tratta dal libro della Genesi). Messaggio sibillino e potenzialmente suscettibile di molte interpretazioni possibili.
Se gli eventi sono guidati, molto prosaicamente, dalla tecnologia, gli aspetti nefasti partono proprio da lì: le Williams-Renault dopo la giravolta normativa che tornava a bandire le sospensioni elettroniche fece un salto indietro e non di poco: tra la versione a sospensioni attive dell’anno precedente (1993) che permise la vittoria a mani basse dell’antipatico Prost (la FW15C) e quella di quell’anno, la FW16, guidata da Senna, c’era un abisso. Quest’ultima era praticamente inguidabile, regolata malissimo, nonostante le messe a punto e i brainstorming nei quali Senna coinvolgeva i tecnici. La posizione di guida orribile, l’abitacolo strettissimo (alla voce Wikipedia su Senna si legge: “La monoposto progettata da Adrian Newey è anche troppo stretta nella zona dell’abitacolo, aspetto che influisce negativamente sulla guida (lo stesso Senna, dopo le prime prove con la vettura, afferma: «Se mangio un panino non entro più in questa macchina»); il mezzo inoltre è instabile e difficile da guidare a causa dell’eliminazione dei dispositivi elettronici”), insomma anche qui, anzi: a partire da qui, non ci siamo proprio. Nonostante questo Senna – che fino a quel momento ha fatto miracoli (l’anno precedente, ancora con la McLaren, in qualche occasione ha dato del filo da torcere a Prost che viaggiava con le sospensioni automatiche; quell’anno, nonostante l’auto che faceva i fatti suoi, aveva ottenuto ben tre pole position, compreso il gran premio di Imola…) – corre ed è primo quando accade quel che gli è fatale.
Qualche dettaglio su una storia comunque molto conosciuta lo si trova qui e qui. Dettagli da cui anche gli “amici” inglesi della Williams non è che ne escano proprio benissimo.