Conati

Una delle maggiori libertà che uno come me si può prendere è quella di dire quello che pensa pubblicamente senza incorrere in particolari “rischi”. E’ uno dei pochi vantaggi che ho nel non essere famoso. Ieri sono andato alla presentazione di una mostra, qui a Pisa, in cui il Cnr – eterno secondo tra le istituzioni (soprattutto come visibilità) – è presente. Avrei dovuto “dare una mano” anch’io ma poi ho vinto il dottorato e questa collaborazione è sfumata. Faccio questa premessa per evitare di essere tacciato di essere quella volpe che, non arrivando all’uva, la dichiara non buona: la mostra è molto bella e non so davvero, ex post, come il mio contributo avrebbe potuto renderla migliore.
Tutti siamo utili, ma per fortuna nessuno indispensabile: lezione che ho chiara da sempre e da sempre mi è di conforto. Proprio perché parto da questi pensieri ho sempre più difficoltà a relazionarmi con tutta una serie di persone dall’ego ipertrofico, che evitano il tuo sguardo quando arrivi lì (ma tu sei esattamente quello che eri qualche mese fa, quando alla mostra ti era stato più o meno formalmente richiesto di collaborare…) o, peggio, colleghi/e che a cose normali sono pronti/e a criticare tutto e tutti, salvo il venir cooptati (a quanto pare sono stato degnamente sostituito…) e vedere il proprio nome nel colophon della mostra tra i ringraziamenti e commentare “certo la mostra è molto bella…” col mezzo sorrisetto di chi dà da intendere che adesso la mostra è bella perché lui/lei (voglio restare vago…) ci ha messo lo zampino e quindi… tutte le battaglie “di principio” da sinistrorsi radical chic possono andare tranquillamente a quel paese.
Ragazzi, mamma mia che tristezza!
Tutto questo per tacere di quell’altro mondo folle che è quello accademico dove, come si dice a Roma, “er mejo c’ha la rogna”. Qui per fortuna le esperienze sgradevoli si fanno più indirette, ma non sono meno gravi: gente ormai in pensione disposta a tutto pur di trovare una collocazione ai figli (sempre in quello stesso mondo…) e, ancora a coronare la proprio carriera con una pubblicazione (l’ennesima…) di prestigio, passando come un panzer sopra tutto il resto e lasciando – affettivamente parlando – dei morti per strada.
Che vomito, ragazzi miei!
L’Io, “il più lurido dei pronomi” come diceva Gadda, è amplificato, gonfiato, reso tronfio da queste piccole azioni senza storia che mettono tristezza perché non sono una gioia condivisa per aver fatto qualcosa di bello, ma solo l’atto solipsitico per dire a se stessi – ma soprattutto agli altri – quanto si è fighi. D’altra parte se già a cose normali le persone non fanno altro che scattarsi compulsivamente dei selfie e raccontare al mondo quante volte sono andate al cesso, non è che ci sia molta speranza. Oggi va così e mi sembra che per queste cose non ci sia redenzione: ci meritiamo di essere tutti spazzati via, nella nostra stupidità e bòria.