Lo spunto per questa breve riflessione nasce da una chat su whatsapp di dimensione… nazionale. Già l’idea in sé mette i brividi se ci si pensa un attimo lucidamente. Scopo della “conversazione” è il coordinamento per un ricorso di insegnanti precari, di III fascia – i paria della scuola – per un riconoscimento verso la II. Per una cosa del genere se avessi dovuto trovarmi a coordinarla, se fosse stato possibile mi sarei sottratto, ma dovendolo fare forse avrei scelto un altro strumento, come una mailing list (così che le persone debbano almeno essere davanti a un computer per rispondere, anche se ormai dal telefono si fa praticamente tutto, ma da una chat sul telefono lo si fa più velocemente e questo quasi mai è un bene…), oppure avrei messo le informazioni utili/necessarie, su un sito, con una forma di web 1.0 “a senso unico” perché più conosco le persone meno mi fido della democrazia (ma questo esula e va oltre l’obiettivo di questa riflessione).
Comunque sia: Marilù, mia moglie, ci è dentro e io, di riflesso, sono stato partecipe della follia collettiva ingenerata da questa semplice “cosa”. Semplice perché si trattava di produrre della documentazione – che ci abbiamo messo mezz’ora a confezionare secondo quanto descritto dallo studio legale cui i ricorrenti si appoggerano – e di spedire. Fine. Fatta questa premessa è utile fare un percorso a ritroso.
Quando ero alle scuole superiori avevo un professore di italiano con una cattivissima nomea: i suoi voti andavano da zero a dieci e quasi sempre erano molto più vicino allo zero che al dieci. A quei tempi ero un alunno piuttosto brillante, ma la scuola, tecnica, era abbastanza scarsa e quindi non era difficile esserlo. Lo ero dunque anche in materie non strettamente tecniche e quindi uno dei migliori anche in italiano. Questo professore, che molto ci ha insegnato, faceva lezioni anche di grammatica sui tempi e i modi verbali e di Lectura Dantis, di cui, essendo passati molti anni, nulla mi è rimasto, se non il vivere di fronte alla torre di Caprona, citata nella Comedia.
Essendo uno dei migliori, il voto che presi ad uno dei suddetti compiti (definiti amichevolmente “i massacri”) fu 2= (leggi: 2 meno meno) e, a completamento, il giudizio, lapidario ma con una qualche speranza recondita: “C’è qualche spunto di analfabetismo persistente, ma puoi migliorare”. Insomma: la luce in fondo al tunnel (ed ero quello che avea preso il voto più alto).
All’epoca ci si piangeva quasi, ma anche si (sor)rideva della propria ignoranza perché almeno si cominciava a diventarne consapevoli (e poi si sa: sono quelle età in cui ancora vale il “mal comune, mezzo gaudio”). Poi si è continuato a sorridere in generale dell’italico strafalcione, della nostrana ignoranza, sempre nella consapevolezza – per carità – di esservi tutti immersi a bagnomaria e mai di esserne immuni.
Poi si è arrivati a ridere – anche a crepapelle – con almeno due libri di Stefano Bartezzaghi, il cui primo ha come programmatico titolo Non ne ho la più squallida idea e il secondo, a cui ho modestamente contribuito, Non se ne può più: il libro dei tormentoni.
Poi si è riso un po’ meno quando al “concorsone” scuola 2016 oltre metà degli aspiranti insegnanti pare (e dico pare: perché la polemica non ha smesso di infuriare tra chi parla di patente analfabetismo e chi dice che il concorso era stato mal progettato) non sia risultata idonea – e in molti hanno continuato a puntare il dito sull’analfabetismo…
Si ride per non piangere agli spettacoli come questo. E altri ancora che girano in rete.
E non si ride affatto quando si legge la storia di Vincenzo Rabito che, nonostante il semianalfabetismo (che però risale agli inizi del ‘900) è stato in grado di fronteggiare una vita la cui narrazione pare, a noi moderni, a dir poco rocambolesca e mirata sostanzialmente, in primo luogo, a portare a casa la pelle.
Poi si arriva a oggi e a questa chat le cui domande e la cui follia collettiva (certamente magnificata dal mezzo: chat whatsapp) ha raggiunto l’apice ieri sera, quando il coordinatore (il tal P. che per ovvi motivi rimane anonimo), che pure ha tentato senza successo di moderare, ha sbottato (direi: sacrosantamente) come segue:
Un’ultima considerazione prima di chiudere: intelligenza (ovvero l’idea di “sapersela cavare” e di usare il buon senso di cui tutti noi dovremmo essere dotati) e cultura (ovvero “avere nozioni” che possano avere più o meno senso per orientarsi nella vita), non dimentichiamolo, sono scissi e la dimostrazione evidente è questa chat dove tutte persone mediamente laureate non hanno idea di come produrre una documentazione esplicitata in un elenchino costituito da 4 punti. Ce la faremo? Forse no.