Scrivere mi diverte sempre e un blog è un modo semplice per tastare il polso alle situazioni che viviamo e ci colpiscono, per tenere conto dello zeitgeist nel quale siamo immersi. L’ho battezzato Lucifero Vocifero, per un’assonanza, perché l’etimologia di lucifero è “colui che porta la luce” e perché il vociferare dei tempi nostri sembra l’unica certezza, in assenza di certezze, al contrario di quanto accadeva per gli antichi greci…
Il mito e la tradizione raccontano che molti aedi, come Omero e Demodoco, erano ciechi. Per i Greci la vista era lo strumento più affidabile per conoscere il mondo. «Oida», il perfetto del verbo «orao», significa tanto “so” che “ho visto”, e dalla stessa radice derivano le parole per “idea” («eidea»), “immagine” («eidolon»), “sapere” («eidema») e “scienza” («eidesis»).
Il poeta non aveva bisogno quindi di conoscere come gli altri uomini, e nemmeno di distrarsi a guardare, perché solo così poteva farsi possedere dalle Muse e accedere a un sapere divino.
Questa simbologia della cecità non tiene conto di un particolare: l’udito. I Greci infatti svalutavano il genere di conoscenza che può visitarci attraverso le orecchie. La voce altrui era un veicolo di opinioni soggettive («doxai»), in opposizione esplicita con la verità universale. Ancora oggi diciamo “voci” per intendere “notizie non verificate, pettegolezzi”.
Wu Ming, New Italian Epic, Einaudi, Torino, p. 198.
Buona lettura!