Mi rifaccio, in questo titolo, a una citazione tolkeniana (modificata), ma è un pensiero che mi è balenato alla mente questa mattina quando ho ascoltato la rassegna stampa culturale di Pagina 3, su Radio 3. Si parlava di Rosi, della Berlinale, dell’Orso d’Oro, del riconoscimento ai lampedusani e alla Sicilia, matrigna che attrae e respinge senza mezze misure coloro che hanno (anche solo in parte, come il sottoscritto) il suo sangue nelle vene.
Avevo già seguito a spizzichi e bocconi, sempre su Radio 3, un’intervista a Rosi prima della vittoria tedesca, e raccontava, aneddotico, il suo essere piombato lì, a documentario commissionato, con un po’ di frustrazione e un po’ di senso del surreale e del paradossale: nessun migrante, una procedura istituzionalizzata, l’isola in una apparente normalità, insomma: nulla da filmare. Fino a quando, sentitosi male, non si reca nell’ambulatorio dell’unico medico, il dottor Pietro Bartolo che sarà l’uomo della svolta.
Ma non è della genesi di Fuocoammare che volevo parlare, quanto piuttosto della virtuosa storia che in esso si narra, in contrapposizione ai tanti poco virtuosi altri e variegati modi dell’essere umano che vanno dalla semplice indifferenza alla critica, al proclama politico di un’Europa che sembra non essere capace di far altro che chiudersi e chiudere le frontiere. Bartolo, e con lui la sua gente, hanno operato in silenzio. In 10 anni di attività sull’isola, si raccontava stamattina in radio (assolutamente da recuperare il podcast per chi non l’avesse ascoltato questa mattina, a questo indirizzo), dicono di lui che abbia visitato e si sia preso cura di almeno 250mila migranti. Lui non lo sa, non ha tenuto il conto. Si ricorda solo qua e là qualche episodio che gli è rimasto più impresso di altri, come quello della donna salvata in condizioni disperate e di travaglio e lui che in silenzio allestisce al volo nel suo ambulatorio una piccola sala parto e senza dire niente a nessuno, nel casino dei momenti concitati dello sbarco, la porta dentro e ne esce sfinito dopo qualche ora ma felice per essere riuscito a salvare la vita a madre e figlia. Nel frattempo si era sparsa la voce e fuori dall’ambulatorio, alla sua uscita, trova almeno una cinquantina di madri che avevano portato con sé vestitini per la neonata e la madre. O ancora tra i tanti allineati morti composti per essere messi nelle bare, trovare una ragazza che ha ancora un flebilissimo polso, correre contro la morte e salvare anche a lei l vita. Questo ricorda Bartolo di cui tutti noi, prima di questa (sovra)esposizione mediatica, non conoscevamo l’esistenza. E non ci sono discorsi, non c’è autocompiacimento, non c’è ideologia, non c’è senso di fastidio, non c’è razzismo (tutte cose che sembrano arrivare dopo, da Lampedusa in su), lì c’è solo il sorriso di chi ti dice che sta solo facendo il suo mestiere, e il rammarico e il fastidio degli isolani che si disperano solo per le vite che non sono riusciti a salvare. C’è sempre chi alza e chi abbassa la media. Queste persone l’alzano di sicuro. E sono davvero eroici, di quell’eroismo che è tale perché arriva come semplice dovere da compiere nei confronti di un prossimo disperato e in difficoltà.