L’altro giorno in treno avrei voluto ascoltare un po’ di musica. Di solito mi appoggio a Spotify, che mi pare una delle più utili applicazioni di questi strumenti (traffico dati permettendo – ma questo vale un po’ per tutte le app).
Spotify però non funzionava come avrebbe dovuto e ho ripiegato quindi su quell’altra “miniera” che è YouTube. Mi è venuta voglia di ascoltare un concerto di cui mi ero innamorato molti anni fa quando, piuttosto velleitariamente, stavo tentando di completare una enciclopedia della musica classica in fascicoli – ebbene sì, sembrano mille anni fa, eppure esisteva (e ancora esiste: basta andare in un’edicola qualunque) quel mondo. Il tentativo naufragò perché a un certo punto interruppero la produzione dei fascicoli e dei CD allegati e così l’opera rimase monca e la collezione incompleta.
Iniziai ad ascoltare questo concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven, famoso, chiamato “imperatore” – sebbene impropriamente. Chissà se si trova su Youtube (domanda retorica dalla risposta certamente affermativa)… e che quale esecuzione. Ebbene, ho trovato questa del Maestro Daniel Barenboim. Ho avuto fortuna perché sono riuscito a vederne anche il video, con le riprese che – quasi a camera fissa in certi momenti – indugiano sulla tastiera del pianoforte e sulle mani dell’esecutore, che non definiresti, da profano, le mani di un pianista, nonostante la perizia e l’agilità, ma comuni mani, un po’ cicciotte e non certo affusolate. Bah, mi sono detto, forse per suonare questo Beethoven ci vogliono mani possenti, vigorose e non proprio delicate («Ecco Duke Ellington / grande boxeur / tutto ventagli e silenzi», dice Paolo Conte in una canzone delle sue). Fatto sta che, soprattutto sul secondo movimento, la commozione è stata forte, come lo era 25 anni fa.
Ed è così che stamattina mi è capitato di ascoltare – sempre per caso e sempre in auto, luogo deputato all’ascolto della radio – quel fenomeno di Edoardo Camurri a “Pagina 3”. Oggetto della puntata di questa mattina: l’assedio di Leningrado e la settima sinfonia di Sostakovic, ricordata da Pietro Citati in un articolo comparso questa mattina su Repubblica:
Stalin aveva una grande passione per la musica. […] Non amava Leningrado nella quale scorgeva l’incarnazione di tutto ciò che detestava: la cultura, la vita, la libera discussione, l’eleganza degli edifici, i colori verde e rosa, l’antico profumo aristocratico. […] Sostakovic cominciò a comporre la settima sinfonia a Leningrado durante l’assedio… voleva che venisse eseguita per la prima volta nella mia amata città, che ne aveva ispirato la creazione.
Citati descrive lo scenario che fu all’origine della leggendaria Settima sinfonia narrando dettagli che lasciano sgomento il lettore odierno, come il direttore d’orchestra che giunge in ritardo alle prove perché aveva appena finito di seppellire la moglie, morta di fame.
La drammatica enormità di una guerra mondiale accompagnata dall’assoluto della morte, la grandezza della Russia e – a quell’epoca – della Germania. Tutto sotto la follia di Stalin, in preda alla follia della fame. Una sinfonia per 105 elementi e 250 pagine di partitura: fu difficile trovare i musicisti, non c’erano i flauti e gli oboi. Gli sguardi dei musicisti erano fissi come icone per la fame e le tribolazioni della guerra. I sodati nazisti erano a poche centinaia di metri. La sinfonia fu eseguita nel tardo pomeriggio del 9 agosto 1942. Essi ascoltarono attentamente la bellissima musica composta contro di loro. Tutto sembra netto, in un frangente come quello e nel contempo come sospeso, mentre i musicisti suonano per resistere, con i nazisti quasi di fronte a loro.