Ci sono cose che, avvolte nelle nebbie di tempi anche brevi, acquisiscono un’aura che sta a cavallo tra il folklore e la mitologia. Una di queste è l’acqua “Pozzillo”, marchio scognito ai più e conosciuto invece soprattutto in chi ha vissuto o anche solo frequentato soprattutto la Sicilia orientale, tra Catania e Messina, per intenderci, in quel bellissimo pezzo di costa ionica in cui si trova incastonata la gemma di Taormina, giusto per dire.
Mia moglie, acitana di nascita, mi ha raccontato la storia di questa acqua, ricordo della sua giovinezza, eccessivamente addizionata di anidride carbonica. L’acqua Pozzillo (il nome è quello della località in cui si trova la sorgente, come accade per molte acque) era frizzante, che più frizzante non si può: le bottiglie rischiavano di esplodere e andavano maneggiate con cura; gli effetti intestinali erano… assicurati. Scrivo al passato perché quell’acqua non esiste più: «La società Acquapozzillo poteva vantarsi di aver fornito il re Ferdinando I di Bulgaria, che conobbe l’acqua durante un suo soggiorno in Sicilia. L’attività, che era passata alla Regione Siciliana, è cessata negli anni 2000», racconta laconicamente Wikipedia, alla voce “Pozzillo”.
Fin qui il folklore e adesso passo alla mitologia: i più vecchi tra coloro che leggeranno queste righe ricorderanno (io in modo sbiadito, confesso), l’attore (siciliano) Lando Buzzanca, professionista con sicure qualità, ma spesso protagonista di quelli che forse nella modernità definiremmo B movies. In uno di questi La prima notte del dottor Danieli, industriale, col complesso del… giocattolo il protagonista ha, di fronte alla moglie che scopre essere vergine, problemi di “timidezza”, per dir così. E uno dei tentativi del “rinvigorimento” sessuale del Buzzanca-Danieli è proprio lei, l’acqua Pozzillo!
Poi esiste la realtà: in questo post si narrano brevemente gli episodi salienti di questa vicenda che qualche tristezza ce l’ha, ma, con una punta di orgoglio, parlando proprio di questo, mio suocero mi confessava che in anni neppure troppo remoti, quando il calcio non era ancora così inondato di fiumi di soldi e sponsor, alle squadre – dalle massime divisioni in giù – veniva fatto divieto di portare sulle maglie segni distintivi e sponsor appunto: la casacca era quella con i colori sociali e solo eccezionalmente poteva essere cambiata, per le esigenze legate alle riprese televisive in bianco e nero: se i colori, magari con due maglie a righe, erano troppo vicini il telespettatore che seguiva la cronaca, rischiava di confondersi.
In questa epoca, che ho vissuto da bambino – mio padre ha giocato attivamente in squadrette locali e molte delle foto che lo ritraggono sono su un campo di calcio, in quelle foto “ufficiali” che si facevano a squadra schierata (un paio di queste me le ha fatte vedere di recente elencandomi chi, in quelle foto di mezzo secolo fa o forse più, nel frattempo era passato a miglior vita…) – e che definirei “sana”, collezionavo ancora, come moltissimi miei coetanei, le “figurine Panini” e l’album dei calciatori su cui quelle figurine andavano appiccicate. Lì, al campionato 1977-78, si ferma la mia cultura calcistica, poi ho cominciato a disinteressarmene completamente (non che fossi mai stato un “fan”, ma le figurine erano un gioco che forse mi ha stufato presto), ma al “dettaglio” degli sponsor non avevo pensato. Così mio suocero mi disse che le uniche eccezioni di quegli anni erano, appunto, una squadra che all’epoca giocava nelle massime divisioni (il Vicenza) che si chiamava appunto “Lanerossi Vicenza” e, appunto, l’Acireale, club che dal 1960 al 1972 fu chiamato semplicemente Acqua Pozzillo, come si può leggere sul sito del Comune di Acireale.
Anche questa è “storia”…