Come spesso accade, e con una sostanziale inerzia, assisto al TG della sera, non avendo, come molti, il tempo di capire cos’è successo nel mondo durante il giorno. Così ieri, 25 febbraio 2021, a oltre un anno dall’inizio della pandemia, registro le seguenti esternazioni:
1. Uno dei primi servizi afferma che i contagi sono in aumento in maniera preoccupante, ma il servizio immediatamente successivo racconta che la neoministra – per gli Affari Regionali e le Autonomie – Gelmini «farà partire la settimana da lunedì», in modo da “salvare” gli introiti dei commercianti nel fine settimana. Ovviamente la domanda sorge spontanea: ma se un “colore” (ammettiamo il permissivo giallo) parte da lunedì e arriva a domenica, i commercianti godono di quella domenica gialla, ma se poi dal lunedì appena successivo quella zona diventa rossa, comunque sarà di quel colore anche nel fine settimana successivo (visto che la settimana inizia da lunedì…) o no? Quindi qual è il vantaggio? Non lo capisco. Si sposta il problema alla settimana successiva, ma la sostanza non cambia. Un modo per avere il consenso politico dai più distratti? Forse…
2. Servizio ancora successivo: Draghi “super” Mario dice che bisogna “mettere il turbo” – iperbolica espressione giornalistica: non credo che Draghi si sia espresso in questi termini – alla campagna vaccini. Noi italiani siamo “affezionati” a quello di Astra Zeneca, forse perché il nostro paese ha una joint venture con la ditta inglese tramite IRBM Science Park di Pomezia (qui la notizia del maggio 2020, ma abbiamo tutti una memoria piuttosto corta…). Il vaccino pare abbia una efficacia risibile, secondo quel che qui (andare fino al paragrafo “Efficacia”) scrive l’Istituto Superiore di Sanità e che, per comodità del lettore riporto qui di seguito, per altro con tempi biblici tra prima e seconda somministrazione:
Sono stati analizzati i dati relativi ai partecipanti di età ≥18 anni che hanno ricevuto due dosi di vaccino (N=6.106) o di controllo (vaccino meningococcico o soluzione salina) (N=6.090). L’intervallo tra le due dosi varia da 3 a 23 settimane ma l’86,1% dei partecipanti ha ricevuto le due dosi entro un intervallo da 4 a 12 settimane. Al momento dell’analisi, il tempo mediano di follow-up post-dose 2 era di 78 giorni.
Tra i partecipanti che hanno ricevuto il vaccino AstraZeneca con un intervallo tra le dosi compreso tra 4 e 12 settimane, l’efficacia è stata del 59,5%. In totale 218 partecipanti hanno sviluppato la malattia COVID-19 sintomatica confermata virologicamente, almeno 15 giorni dopo la seconda dose, di cui 154 nel gruppo di controllo e 64 nel gruppo dei vaccinati. L’87,0% dei partecipanti aveva un’età compresa tra 18 e 64 anni, il 13,0% era di età pari o superiore a 65 anni e il 2,8% era di età pari o superiore a 75 anni. Un totale di 2.068 partecipanti (39,3%) presentava almeno una malattia concomitante preesistente (obesità, definita come indice di massa corporea ≥30 kg/m², disturbi cardiovascolari, malattie respiratorie o diabete).
Tra i partecipanti che hanno ricevuto e due dosi raccomandate con un intervallo compreso tra 3 e 23 settimane, l’efficacia è stata del 62,6.
L’evidenza mostra che la protezione inizia circa 3 settimane dopo la prima dose di vaccino.
Nonostante questo, quelli che per adesso sono riusciti a vaccinarsi pare abbiano avuto solo la somministrazione Astra Zeneca e pare per altro non si possa neppure scegliere, magari pagando una quota, di vaccinarsi con quello Pfizer, che ha tempi di somministrazione meno geologici (21 giorni contro le 10 settimane (= 2 mesi e mezzo) – minimo – di Astra Zeneca) e una efficacia di gran lunga superiore. Ma noi italiani, quasi sempre abituati a essere sempre l’ultima ruota del carro, accettiamo supinamente e magari ancora ringraziamo.
3. Terzo e ultimo rilievo è il mantra salviniano dei ristoranti aperti a pranzo e a cena. Mantra ripetuto infinte volte e, proprio nell’edizione di ieri sera, reiterato anche da uno dei neoministri leghisti. Insomma, anche qui la cosa sembra essere semplice e non serve una laurea (che per altro il sig. Salvini non ha) in Sociologia per capire che se a pranzo la gente mediamente lavora (chi ancora un lavoro ce l’ha…) e magari, se proprio non può stare a casa in smart working, ha senso che trovi un punto di ristoro nella pausa pranzo, a cena si tratta invece di un momento conviviale e di festa e quindi TUTTI vogliono andare a mangiarsi una pizza. Chi non lo vuol fare alzi la mano… Quindi la differenza tra pranzo e cena che dovrebbe essere ovvia, nella testa del signor Salvini & co. non sembra essere tale. Forse perché le premesse non sono chiare: siamo in piena pandemia; di fronte a una terza ondata che sembra – se possibile – peggiore delle prime due; la gente, per quel poco che mi è dato vedere quando metto fuori il naso, già se ne frega abbastanza come se questo “evento” non li riguardasse e figuriamoci se gli si dà l’occasione di andare a cena fuori! Non mi sembra difficile da capire, ma anche questa è forse strategia – per altro sempre la stessa: parlare alla pancia della gente e fare demagogia.