E l'Arno fece bella (e minacciosa) mostra di sé…

Oggi – o ieri: dipende da quando riuscirò a mettere su questo post, data l’incertezza della connessione alla rete – 31 gennaio non sono andato a lavorare. Il telefono ha squillato appena acceso: un sms di una collega, con la quale avevo appuntamento non appena avessi varcato i cancelli del Cnr, diceva che non sarebbe andata al lavoro per l’emergenza Arno.
Guardo il web (stamattina funzionava…) e le notizie erano quelle del caldo invito a rimanersene a casa a meno che l’uscita non fosse indispensabile o urgente. L’ufficializzazione della notizia è poi arrivata da altre mail inviate dal direttore dell’Area di Ricerca in continuo contatto con la prefettura.
In effetti ieri, rientrando poco prima di cena a casa dal centro città, l’idea era del preludio a una possibile apocalisse: strade allagate ben più di una normale pioggia, acqua che riusciva a evadere per i suoi percorsi dal manto stradale con estrema difficoltà.
Una sorta di normalità dell’eccezione alla quale dovremmo essere abituati. Tra falsi allarmi (mediatici) catastrofisti e tragedie reali, ormai non sappiamo neppure più distinguere bene.
Così ho lavorato da casa un po’, almeno su alcune cose che avevo in sospeso e che, riportate a lunedì, sarebbero state di peso. Nel dopo pranzo ho fatto due passi e mi sono avventurato con la macchina fotografica sul ponte di Caprona, poco distante da dove vivo, passando dall’argine di quel fiume che tanto preoccupa tutti. In effetti la mia casa non è molto distante dal corso d’acqua più importante della Toscana, ma le alluvioni del passato qualcosa hanno insegnato: lo scolmatore è stato aperto per tempo a Pontedera (a monte di questa zona) e sebbene l’allerta sia proseguita in queste ore, la situazione sembra sotto controllo: a Pisa sono state montate le paratie e alacremente gli uomini della Protezione Civile, l’Esercito, le forze dell’ordine tutte hanno avuto l’agio di fare le cose, di preparare la città, la popolazione, loro stessi al peggio. Si arriva, insomma, pronti.
Ma, tornato indietro dopo aver scattato qualche foto dell’evento eccezionale (ne ricordo uno simile esattamente 20 anni fa, quando in una licenza militare, tornando a trovare la fidanzata pisana dell’epoca, trovai tutto sbarrato, sacchi di sabbia ovunque, il ponte di mezzo che tremava e a cui era impedito l’accesso…) come se alla fine si fosse stati in gita, il pensiero corre a quelle occasioni in cui l’acqua è arrivata senza preavviso e ha distrutto, disintegrato luoghi, cose, persone.
Penso al disastro del Vajont – da poco sono trascorsi 50 anni – o all’Arno, a Firenze, nel 1966. O ancora alle alluvioni che hanno battezzato il millennio: in Piemonte nel 2000, ma ancora prima nel 1994, poi quelle recentissime in Sardegna e a Modena. Forse, per farsi un’idea, può essere utile consultare questa pagina Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_alluvioni_e_inondazioni_in_Italia.
Ancora una volta, come si dice, possiamo raccontarla e tutto appunto, si risolve in un “esercizio di forza” del fiume, qualche disagio alla viabilità. Fors’anche qualche cantina allagata, ma sono “andato in gita” a vedere il fiume. E questo è il dato consolatorio. Consolatorio quanto lo è il metro cubo che abbiamo appena evitato. Quanto pesa un metro cubo? Era la domanda che il Marco Paolini, faceva al pubblico in quell’orazione civile che lo ha reso famoso. In molti non sanno rispondere e non si ricordano. Rimangono disorientati ascoltando la risposta – una tonnellata, mille chilogrammi – perché sembra esserci una intuitiva sproporzione tra il modesto volume che dominiamo con lo sguardo, che se fosse una scatola vuota riusciremmo a trasportare senza difficoltà, e il peso. Sarà che l’acqua è un elemento amico: siamo fatti di acqua e l’acqua è vita…
Meno consolatoria sembra essere la precarietà cui sottostiamo consultando quell’elenco nella pagina Wikipedia. Ma quand’è così bisogna buttarla sul “filosofico”: di certo nella vita sembra esserci solo la morte… Le cause però sappiamo quali sono, anche se costantemente facciamo finta di nulla e immaginiamo che siano cose che non ci riguardano.
PS(#1): ieri sera, durante il nubifragio, rientravo da Pisa perché ho iniziato un corso di fotografia: è ora di cominciare a usare seriamente la Canon G9 che, grazie ai terribili telefoni con i quali è diventato tropo facile fare foto (tendenzialmente di pessima qualità), è rimasta troppo a lungo nel cassetto. Così ho ricominciato a usarla per far le foto al fiume e, con l’occasione, mi sono aperto un account flickr dove – connessione ballerina permettendo – spero di riuscire a caricarle: http://www.flickr.com/photos/114340088@N08/ (ce l’ho fatta!) 🙂
PS(#2): discutendo di queste cose mi torna sempre alla mente il bel quadro di René Magritte: Le vacanze di Hegel. Un titolo impegnativo per un quadro che però ha il pregio di evidenziare l’indissolubile dualità di uno dei tanti elementi naturali – l’acqua appunto – cui sono soggette la nostre piccole vite.

Le vacanze di Hegel

Le vacanze di Hegel