Forse il miglior modo di “celebrare” la prima volta in cui come cittadino sono stato chiamato a offrire il mio voto in relazione a un organismo sovranazionale è stato andare a visitare la mostra al (bel) palazzo Lanfranchi «All Our Yesterdays. Scene di vita in Europa attraverso gli occhi dei primi fotografi (1839-1939)». Le foto, davvero suggestive (sia per il posto, sia per l’esposizione, sia per… il coinvolgimento, visto che si tratta di una mostra “2.0” nella quale si invitano i cittadini ad arricchire questo patrimonio, attraverso la digitalizzazione di queste immagini che – come singoli, appunto possiamo avere a casa: qui il regolamento…), sono proprio di tutta Europa: si va da Parigi a Bratislava passando da Vilnius e da località sconosciute della Turchia, per tornare a Cracovia e ripartire per Barcellona.
Il “racconto” fotografico è tematico e tocca i gangli vivi della società: dallo sfruttamento del lavoro minorile, al turismo di massa; dalle manifestazioni di piazza, alla foto che ritrae la vita delle classi sociali abbienti. Non mancano le foto “inquietanti”: una Monaco di Baviera deserta, in uno scorcio di piazza tra due colonnati, negli anni ’30; una foto che titolerei «La quiete prima della tempesta». O quella dei ragazzi (che a mia volta ho fotografato e qui di seguito riproduco) che, sempre negli anni ’30, si danno ad amene letture all’Ostello della gioventù “Adolf Hitler”.
Scorrendo le foto alle pareti due le cose che accomunano il patrimonio esposto:
- la prima è che – che ci piaccia o meno – di passi avanti rispetto a certe situazioni (sociali) se ne sono fatti. E tanti. Questo ovviamente non significa che non si debbano continuare a fare, ma avere – almeno vagamente – idea del mondo da cui si viene (con bambini che nella civilissima Danimarca facevano da garzoni al lattaio PRIMA di andare a scuola nei primi anni del secolo, a cavallo delle due guerre e dopo la seconda guerra mondiale – senza che questo per altro scandalizzasse nessuno) ci aiuta a capire le “fortune” che abbiamo. Fortune che non arrivano dal cielo perché ogni diritto (di cittadinanza) è stato conquistato spesso a caro prezzo;
- la seconda è che davvero le condizioni per le “persone” sono state le medesime un po’ ovunque in Europa perché il modello di vita, il modo – con le dovute distinzioni e con una pur grande variabilità di situazioni – sembra essere stato lo stesso. Sicuramente molto meno di quanto non lo sia adesso, in epoca di globalizzazione e standardizzazione, ma certamente le analogie sono forti. Le campagne sono state “remote” nell’Italia così come lo sono state in tante altre parti d’Europa. Identicamente la vita delle città si è somigliata molto e nelle capitali la vita è stata frenetica qui come altrove.
Forse avere questa consapevolezza è il primo passo per costruire davvero un’Europa che non si basi solo sulla moneta unica, ma che veda come nostro prossimo non solo il nostro vicino di casa, ma colui che – in un altrove pur distante (ma di una distanza che la modernità ha ridotto drasticamente) – ha avuto sorti simili alle nostre.