Sto terminando la lettura di un candidato allo Strega (il titolo è quello del post e il suo autore è Antonio Scurati, sostanzialmente un mio coetaneo). I libri dello Strega arrivano a casa a seguito di un paio di passaggi che non sto qui a dire, aggiungendosi alla “popolazione” sovrabbondante e oltremisura da cui sono sovrastato.
L’impietoso ritratto della mia sindrome mi è stato recapitato qualche giorno fa da un’amica attraverso questo link, ma non è questo il discorso che volevo affrontare in questo post, quanto piuttosto parlare di un altro ritratto di grande lucidità che l’autore de Il padre infedele, appunto, fa nelle pagine del suo romanzo. I ritratti sono sempre di “qualcuno” o di “qualcosa”, qualche situazione, in questi casi, se non reale almeno verosimile.
Sovrapporre la propria storia a quella narrata significa identificarsi e mentalmente elogiare l’autore del libro per aver trovato “le parole per dire” ciò che spesso in noi rimane inespresso, (più o meno volutamente) tacitato. E’ ovvio che la corrispondenza non sarà mai perfetta, ma il grado di identificazione può essere un buon parametro per indicare il grado di successo (verso il singolo lettore) dell’opera.
Da qui l’idea di condividere – con i pochi che leggeranno questo post alcune pagine che ho trovato significative, che ho scansionato e che riporto a questo link – il frangente nel quale il protagonista di trova, con sua figlia. E’ buffo perché a me che di figli non ne ho, pare tutto molto “reale” e condivisibile e forse, mi vien da pensare, il vero antidoto alla tentazione di perseverare in questa astinenza sarebbe averne almeno uno, per smontare i pensieri altri e per capire che questo potrebbe non essere il mio ritratto.
Buona lettura e buon fine settimana.