Difficile non essere retorici o banali di fronte alla grandezza di certi individui. Loro se ne stanno là, nell’empireo rarefatto di chi ha avuto un peso specifico forte nella cultura contemporanea, e noi quaggiù non possiamo che guardarli dall’altezza di formica a cui ci troviamo. Forse conoscendoli questa distanza si colmerebbe di colpo: in fondo Umberto Eco era un essere umano (pare che proprio questo atto ultimo che ci congiunge tutti, ne sia la più ampia dimostrazione) e avrà avuto i suoi alti e bassi, i suoi vizi e le sue virtù. Ma a me non è stata data la fortuna di incontrarlo e quindi, come la stragrande maggioranza di noi, mi sono dovuto accontentare del suo lato pubblico. E questa pur scarsa conoscenza è stata sufficiente a comprendere, come in sempre più rari casi accade, che si volta pagina, che c’è un mondo con Umberto Eco e il mondo che segue – certamente molto più povero – senza.
Manca un punto d’appoggio ed è un punto che non sta nelle “grandi cose” che Eco ha fatto/detto (dal fin troppo nominato Il nome della rosa – l’unica cosa che i giornalisti radio televisivi sembra siano stati in grado di citare nei loro “coccodrilli” di questi giorni…) ma in quelle piccole: ricordo la polemica con Oriana Fallaci sulle colonne del Corriere della Sera (mi pare lei scrivesse lì e lui rispondesse su Repubblica…) e, ancora relativamente giovane, la curiosa sensazione di percepire che è come se Eco avesse scritto la risposta alla fallace Fallaci (nomen omen?) leggendomi nel pensiero e che quelle cose avrei voluto risponderle io, ma l’avrei fatto molto peggio e di certo in modo più confuso. Per questo mi manca Eco, per la “sicurezza” e il “conforto” della condivisione di un ragionamento con uno che di sicuro ne sa più di te. Quella che, in una parola sola, si chiama autorevolezza.
E anche per lo “sdoganamento” – come, con un brutto termine, dicono sempre i giornalisti in questi giorni – del fumetto come forma d’arte, come cultura forse pop, ma di sicuro peso e rilevanza. Celebre (e anche qui già citata – ma vale la pena citarla ancora) l’introduzione ad Arriva Charlie Brown che risale al 1963, quindi in tempi veramente non sospetti. Un’introduzione che comincia impegnativa: «Charles M. Schultz è un poeta […] se ‘poesia’ vuol dire capacità di portare tenerezza, pietà, cattiveria e momenti di estrema trasparenza, come se vi passasse attraverso una luce e non si sapesse più di che pasta sian fatte le cose, allora Schultz è un poeta», e prosegue con un elogio al papà dei Peanuts.
Per questo soprattutto – oltre che per tutto il resto che pure conosco poco – mi mancherà Umberto Eco.