Dante e il sonno (speriamo non della ragione…)

statua di Dante

Quest’anno, lo sappiamo, è l’anno dantesco – per l’esattezza quello che celebra i 700 anni dalla morte. Come Lu::Ce edizioni ho deciso di pubblicare un libro che celebri il sommo poeta in alcune rivisitazioni della modernità. Del libro, curato da due professori francesi (cioè, uno italiano trasferitosi in Francia e uno originario di lì), sono contento perché mi sembra tra le cose “meno noiose” che ho letto negli ultimi tempi su Dante. Per chi fosse interessato, naturalmente, il libro è questo.

In queste sere – stanco di una televisione pubblica che non offre (quasi) nulla e di quella a pagamento che invece, proprio perché a pagamento, non offre davvero nulla – ho deciso di provare a seguire la meritoria impresa della RAI che è consistita, anni addietro, nella registrazione della Lectura Dantis compiuta da Vittorio Sermonti dell’intera Commedia. Ho sempre preferito di più il professorale (e professionale) Sermonti al giullaresco Benigni per queste letture, perché quest’ultimo è bravo, ma alla lunga, con tutte le sue moine, mi stanca. Sermonti, più asciutto nell’esposizione ma per questo con uno stile più sobrio, meglio si attaglia al senso intimo e tragico del poema dantesco. Così ci provo e… mi addormento.

E’ blasfemo, lo so e mi rendo conto di urtare forse più di una sensibilità, ma il monocorde Sermonti ha il potere – quasi magico, perché se una cosa mi interessa non mi addormento di certo! – di condurmi per mano tra le braccia di Morfeo… Ci provo una sera, poi un’altra. Ci provo a un’ora più presta, forse ci dovrei provare la mattina appena sveglio! Niente: invariabilmente, a un certo punto della narrazione, mi addormento. Eppure il viaggio è immaginifico, bellissimo, ricco, ricchissimo – come solo il Medioevo ha saputo esserlo – di simbologie, di sovrasensi, di sottotesti, di allegorie, di ricorrenze numerologiche (il 3, il 7…), e ancora: la lingua arcaica e colta che plasmerà il nostro italiano, i tre regni, il contrappasso… insomma gli ingredienti ci sono tutti per stare con orecchie e occhi bene aperti, eppure succede sempre. Direte: beh certo, dopo una giornata magari di lavoro, in cui si è un po’ stanchi, è normale… No, non è così perché vi confesso dell’altro: avevo acquistato qualche anno fa ormai, le stesse letture sermontiane in file audio/podcast ascoltabili da telefono/tablet/computer e il risultato era lo stesso (a qualunque ora ascoltassi): il sonno. Forse qualcuno che pensa io abbia velleità intellettuali rimarrà deluso, ma non posso non ammettere pubblicamente questa nuda verità.

E quindi perché perseverare? E perché perseverare proprio con Dante? Beh è una storia che arriva da lontano, dalle scuole superiori. Avevamo un professore di Italiano e Storia (… e Geografia e Filosofia e Teatro e… e… di vita) che ci faceva leggere la Commedia. Al Classico? No, all’Istituto Tecnico Industriale, con 20 ore di elettronica la settimana e 5 di italiano. E allora, una volta diplomati, tutti abbiamo dimenticato quei momenti, abbiamo fatto e ci siamo dedicati ad altro, alle nostre vite, più o meno riuscite e a “ricorrere i nostri guai”, come recita una celebre canzone di Vasco Rossi dei nostri tempi. Eppure qualcosa deve essere rimasto se questo interesse riemerge e io, per ora, persevero ogni sera, davanti allo sguardo inespressivo del professor Sermonti, per farmi raccontare ora “il terzo (canto) dell’Inferno”, ora il quarto, poi il quinto…

Chissà, forse la Commedia dantesca appartiene al regno dei sogni e per sognare è richiesto di dormire – questa per ora l’unica spiegazione consolatoria che riesco a darmi…