Qualche considerazione sulla (mia) mobilità

Lo confesso: ho speso un sacco di tempo in riflessioni – personali e collettive – sulla questione della mobilità (alcune di quelle collettive sono raccolte qui). E’ un’esigenza imprescindibile, bisogna però conciliare esigenza e portafoglio, il tutto in uno scenario che sembra mutare rapidamente ma non si capisce in realtà quanto rapidamente muti (almeno nel nostro paese).

Spinte e reali esigenze poi confliggono con i “desiderata”, ma… ci arriveremo. Un po’ di storia (personale). Ho guidato dal 2010 al 2021 una BMW 320d coupè, acquistata usata (l’auto era/è – perché ancora esiste – del 2007) con circa 40mila km e rivenduta con 235mila. Ottimo acquisto, delle tedesche non si può dire nulla, specie di quelle di fascia medio-alta, tranne che… somigliano alle “italiane” di cui tutti abbiamo un po’ in mente lo stereotipo, ovvero: auto valide, motori indistruttibili (e anche veloci), ma per le quali ci si perde poi sui dettagli. Dettagli che però fanno la qualità quotidiana dello stare in auto: plastiche che si vulcanizzano e diventano appiccicose – e non in posti a caso, ma proprio sul bracciolo dove metti la mano per aprire e chiudere lo sportello (sembra fatta apposta, no?); spie che si accendono dando falsi allarmi – per anni ho avuto quella dell’airbag lato passeggero che faceva un falso contatto o quella del FAP (filtro anti particolato dell’auto che però, controllato, risultava in ordine). Insomma: cose che alla lunga esasperano e che per essere riparate richiedono esborsi ingiustificati e ingiustificabili. Per il bracciolo praticamente mi si chiedeva di cambiare mezza portiera dell’auto. Per la spia addirittura c’era da intervenire sulla centralina. Siamo quindi in piena crisi da “obsolescenza programmata”: siccome l’oggetto non invecchierebbe così tanto “naturalmente” si fa in modo di farlo invecchiare artificialmente.

Sindrome che affligge praticamente tutto ciò che ci circonda e alla fine pure io, stanco di avere la mano appiccicosa (e di farla avere ai passeggeri!), stanco della spia rossa, a tratti “gigante” sul cruscotto e ben in vista a lungo, ho deciso di sbarazzarmi dell’auto. Venduta. Bene e con soddisfazione, sia chiaro, a un ragazzo dell’Est Europa, appassionato, che vive a Lucca e una volta per caso ho rivisto: l’auto è tornata a nuovo splendore. A volte, semplicemente, serve qualcuno che abbia più passione e motivazione di noi (e magari qualche conoscente tra carrozzieri e meccanici).

Ho indugiato qualche mese prima di riacquistare un’auto. Mi sono deciso con i primi freddi per una Golf VII, TDI, il classico 2000 turbo con 150 cavalli e il cambio automatico – giustamente decantato – DSG a doppia frizione. Auto spettacolare che, nonostante di fascia inferiore alla BMW, risultava superiore per qualità delle finiture e soprattutto dei materiali (nessuna plastica appicosa o vulcanizzata). Certo, tra le due auto c’erano anche diversi anni di progettazione di distanza. Anni che, nel settore automotive, fanno tendenzialmente fare salti in avanti. Troppo in avanti, mi verrebbe da dire. E qui arrivo un po’ al nocciolo della questione e della riflessione che voglio esporre. L’auto, di nuovo, era usata (per principio non acquisto auto nuove…), un 2020, quindi recentissima. “Aziendale”, come si dice, neppure 20mila km, insomma: praticamente nuova. Essendo di “questa generazione” (ricordo che la BMW era un 2007…) aveva, oltre a tutte le “sicurezze” previste dai modelli precedenti (ABS, airbag dappertutto, ecc.) anche quelle che vanno verso la guida autonoma: radar anteriore anticollisione; cruise control adattivo (ACC) che “legge” la distanza dall’auto davanti e, in funzione della velocità a cui si procede (forse anche dal fondo se asciutto o bagnato – o comunque c’è anche qualche altro parametro), mantiene la distanza; sensori ovunque; frenata di emergenza se ci si avvicina troppo (mentre si parcheggia) e altre meraviglie della moderna tecnologia. Meraviglie che – per chi come me ha 53 anni e guida dall’età di 18, ha fatto forse un milione di km, con tutti i tipi di auto dal 1988 in poi, con tutti i tempi, ecc. – presto, molto presto, si trasformano in un incubo.

Perché le meraviglie hanno senso in un mondo perfetto, ma nell’impefettissimo mondo (soprattutto quello nazionale) in cui ci muoviamo, è una follia pensare di NON poter stare “sotto” l’auto che abbiamo davanti per poterla sorpassare, perché il radar “legge” che siamo troppo vicini e quindi frena automaticamente l’auto! Così come l’ACC che ci tiene a una distanza tale dall’auto che precede tanto da… farci stare un’altra auto che magari al volo si “butta” in mezzo, così che quella su cui viaggiamo vede un altro ostacolo e frena ancora di più, col rischio di venire tamponati! Una follia assoluta, almeno per me. Quindi c’è da decidere “chi guida”! Mi sono divertito a fare una specie di grafico qualitativo “livello di tecnologia vs. tempo” per dare un’idea di quello che intendo dire:

grafico sicurezza-tempo

Ecco, mentre la vecchia BMW stava sotto la prima riga rossa, la “nuova” Golf stava già tra le due linee rosse. Capisco quindi benissimo di essere “a metà di un processo”, il cui punto di arrivo, ammesso e non concesso che la mobilità privata continui ad assomigliare a quella attuale, è un mondo in cui l’auto sarà una specie di taxi personale al quale vocalmente diciamo dove vogliamo andare e il mezzo ci porterà in tutta sicurezza, schivando pedoni, gatti, biciclette, monopattini (altre auto no, perché saranno “sicure” come quella su cui viaggiamo…), mentre noi leggiamo beatamente il giornale: siamo sopra la seconda linea rossa. Sapete cosa è successo? Ho venduto anche la Golf, sempre per disperazione. Una disperazione di diversa natura, ma pur sempre disperazione. La sicurezza “attiva” (quella in cui l’auto decide in autonomia cosa fare al posto mio) non fa decisamente per me, anche perché non è disinseribile: finché sono io a guidare, guido io e me ne prendo le responsabilità. Perché questa tecnologia, per altro, induce alla deresponsabilizzazione del conducente: “tanto ci pensa l’auto a frenare!”.

Di recente ho letto un interessante libro che consiglio a tutti: Radical choc. Ascesa e caduta dei competenti, di Raffaele Alberto Ventura. Tra le interessanti storie che l’autore racconta c’è anche una bella analisi dell’incendio alla cattedrale di Notre-Dame, avvenuto nel 2019 in cui si raccontano le cause che hanno permesso si realizzasse. In un (altro) ipotetico diagramma, sempre secondo l’autore, da una parte ci sta la competenza (del singolo, di una squadra) a cui è associata un grado elevato di “libertà” (di azione, in caso di pericolo); dall’altra c’è l’automazione, l’automatizzazione del “sistema” (in questo caso antincendio) grazie al quale, almeno in teoria, poter fare a meno della competenza e professionalità (l’umano si trasforma in “operatore”) a cui però è associato un grado basso o quasi nullo di libertà (il “sistema” è codificato e può assumere solo determinate “configurazioni” – magari molte, ma sempre in numero ristretto). Come dice l’autore: «L’altenativa è secca: o il sistema lascia meno autonomia all’umano, trasformandolo in puro operatore, o l’umano, per essere più autonomo, deve anche essere competente, quindi professionalizzato» (op. cit., p. 111) e poco dopo aggiunge: «Nessuna di queste due opzioni – piena automazione contro piena professionalizzazione – è economicamente sostenibile su larga scala. Ed è per questo che la regola della gestione della sicurezza consiste in una soluzione intermedia: tecnologie di sicurezza fallibili che lasciano margini di manovra a esseri umani fallibili» (p. 112).

Mutatis mutandis il ragionamento è applicabile all’auto: non mi sono sentito mai così “insicuro” come sull’auto più sicura che ho posseduto: l’ultima Golf. Non mi considero certo un asso del volante, ma diciamo che me la sono sempre cavata egregiamente, in certi casi anche in condizioni che molti considererebbero proibitive. Basta un po’ di “manico” e capire cosa fa e come reagisce l’auto che abbiamo sotto il sedere (perché ci sono differenze che sono anche sostanziali) se facciamo una mossa anziché un’altra. Ma non lasciamo ancora Ventura, che ancora ci dice (sempre in riferimento all’incendiodi Notre-Dame): «la presenza del sistema di sicurezza stesso, che tende a deresponsabilizzare l’essere umano tanto più quanto viene considerato infallibile» (ibid.). Sono cose ovvie, ma proprio perché tali, tendiamo a non considerarle. Possiedo una Fiat 500 del 1974. Auto “resiliente” – il prossimo anno fa 50 anni! – che ovviamente NON guido come se fosse un’auto moderna per motivi ovvi legati alla sicurezza, alle prestazioni, ecc.: «circondati da macchine e procedure, tendiamo a convincerci che tutto andrà liscio perché progettato in maniera impeccabile, sottovalutando sia l’incertezza strutturale, sia le trasformazioni che potrebbero rendere obsolete le nostre previsioni» (p. 113): se pensi di sorpassare ma l’auto frena nel momento in cui dovresti accelerare è un problema. E potrebbe diventare un problema grave.

Arrivo presto alla conclusione di questo lungo post, nel quale avrei voluto infilare qualche considerazione a margine anche sulla mobilità elettrica (mia moglie ha un’auto elettrica), ma diventerebbe eccessivo. La conclusione è che mi ritrovo nella condizione di due anni fa: in primavera vendo l’auto e con l’arrivo del freddo e del cattivo tempo, capisco che con un mezzo elettrico da città, pur con tutte le necessarie cautele, in due, in questo paese, non ci si fa: serve comunque un mezzo che ci permetta di arrivare un po’ ovunque senza gli assilli delle ricariche (e il plurale è necessario quando hai al massimo 200-250 km di autonomia andando “a passeggio”, ovvero non superando praticamente mai i 100 km/h): se vogliamo andare a trovare amici un po’ distanti o i suoceri o si ricorre ai mezzi pubblici (treni, aerei…) – per carità: opzione sempre possibile – oppure bisogna attrezzarsi diversamente, nonostante tutto, nel 2023, in Italia. Dicevo: la condizione è la stessa di due anni fa, ma l’esperienza diversa: se non altro ho capito cosa NON voglio.

Quindi ho deciso di acquistare una “nuova auto” vecchia. Quindi usata, ma usata da almeno una decina d’anni. Che abbia quindi tutte le sicurezze passive (ABS, airbag, ecc.); che abbia il cruise control, ma NON adattivo – sono io che guido e che capisco QUANDO va disinserito. Insomma: che stia nuovamente sotto la prima linea rossa (partendo dal basso) del grafico qui sopra. Sono “vecchio”? Sì. Ma non ancora così rincoglionito da non saper guidare un’auto!