#1. Mia moglie mi ha girato ieri questo breve racconto che ho condiviso su facebook e che ha riscosso un discreto apprezzamento (per i miei standard) – segno che una certa sensibilità è ancora diffusa. Il racconto di Vitaliano Trevisan, un autore di Vicenza, dice così:
Gli alberi non parlano, non comunicano tra loro né tantomeno comunicano con noi. Così ci è stato insegnato. Tutto ciò che uno può vedere, guardando un albero, non è che un albero; e tutto ciò che uno può pensare di quell’albero non viene dall’albero, che non dice nulla, ma da lui stesso.
Comunque, c’erano queste due magnolie una di fronte all’altra. Erano venute su insieme: una nel giardino dell’ultima casa in fondo alla via sulla destra; l’altra nel giardino dell’ultima casa sulla sinistra. Fin da quando eravamo bambini le avevamo sempre viste belle e rigogliose, ed eravamo convinti che si parlassero e si mettessero d’accordo su quando fiorire, quando fare i frutti e quando lasciarli cadere, visto che lo facevano sempre nello stesso momento. Eravamo addirittura convinti che si volessero bene, che si facessero compagnia nelle fredde notti d’inverno così come nell’insopportabile canicola di agosto. Pensavamo anche che le due magnolie si parlassero in continuazione, e approfittassero del vento per mandarsi dei messaggi utilizzando le foglie secche che lasciavano andare alla brezza ora di qua, ora di là della strada. Noi stessi, più di una volta, portammo alcune foglie dell’una dall’altra e viceversa, pensando di fare cosa gradita.
Poi cominciammo ad andare a scuola, dove ci fu chiaro molto presto che tutto ciò che credevamo di sapere, riguardo le due magnolie innamorate, ce l’eravamo soltanto immaginato. Gli anni passavano, e ogni volta che passavamo davanti alle due magnolie, pur sapendo che ci stavamo immaginando tutto, eravamo proprio contenti che loro due fossero insieme. Proprio contenti.
Un giorno, però, il padrone della casa in fondo a sinistra decise che era giunto il momento di costruire un garage, perché si era comprato la macchina nuova e non aveva affatto intenzione di lasciarla fuori in strada tutta la notte. Siccome la magnolia gli avrebbe creato dei problemi per entrare e uscire dal nuovo garage con la macchina nuova, che era un po’ più grande della vecchia, decise di tagliare la magnolia. Gli dispiaceva, avrebbe detto il padrone della casa in fondo a sinistra al suo vicino, ma d’altronde la macchina era nuova, e non aveva certo intenzione di correre il rischio di strisciarla ogni volta che entrava o usciva.
Tagliò la magnolia un sabato pomeriggio. La tagliò e ne fece tanti pezzi che utilizzò poi come legna da ardere.
La magnolia dell’ultima casa in fondo a destra morì inspiegabilmente pochi mesi dopo. Noi lo sappiamo perché è morta. Certo, la nostra maestra non sarebbe affatto d’accordo con noi, ma di questo non ci importa niente.
#2. Questo mi ha fatto venire in mente altri alberi della mia vita. Quelli che proteggono l’eremo di Camaldoli, dove moltissimi anni fa facemmo una ciaspolata meravigliosa, dopo una nevicata incredibile e una galaverna che aveva cristallizzato tutto e pareva aver messo addormentato per via criogenica la vita stessa. Quello che ero solito vedere in un punto preciso della lunga tratta ferroviaria tra Cecina e Grosseto, durante i miei anni da macchinista. Ci passavo davanti col locomotore e spesso volontariamente – soprattutto con i treni merci che non hanno mai grossi vincoli d’orario – smettevo di dare trazione al convoglio per godermi un passaggio anche solo di qualche chilometro orario più lento. Una specie di saluto, un amico che si passa a trovare e di cui – come nel caso della ciaspolata – conservo addirittura, e per fortuna, qualche foto e non solo il ricordo. Su quell’albero mi ero fissato, doveva essere una quercia e aveva una chioma maestosa con sotto un campo di girasoli. Se chiudo gli occhi lo vedo ancora. Un sogno.
Altri – moltissimi altri, in verità – alberi mi hanno accompagnato in molti giri che ho fatto in mezzo alla natura in passato (e troppo poco nel presente), magari in montagna o in mezzo a una pineta, o ancora, altre volte, di nuovo con le ciaspole ai piedi, come in occasione di un giro sul monte Amiata. In tempi recenti raggiungere (e ahimè oltrepassare, perché di transito) l’abbraccio buio degli abeti che stanno sul passo che congiunge l’Emilia alla Toscana, all’Abetone. Rallentare e forse anche fermarsi. Lì c’è stato anche un altro pezzo della mia vita, non trascurabile per importanza.
Da ultimo gli alberi della seconda vita. Quelli che adesso hanno abbattuto, all’interno della zona verde delimitata tutto intorno dai padiglioni della parte vecchia dell’ospedale di Cisanello, a Pisa. Erano loro che vedevo dalla finestra della terapia intensiva, nell’ottobre del 2007. Sono stati loro, adesso lo ricordo!, a darmi la forza e la speranza di un domani ancora possibile. Rimasi malissimo quando, in occasione di una delle visite di controllo, mi accorsi semplicemente non c’erano più: li avevano abbattuti e fatti a pezzi, come quella magnolia, ma a nessuno di loro fu dato modo di morire di solitudine, perché tutti vennero fatti fuori.
#3. Concludo con un cortometraggio animato, narrazione della bellissima fiaba di Jean Giono, L’uomo che piantava gli alberi. Una bella edizione di Salani, che mi pare sia ancora in commercio, è in cofanetto e contempla un DVD con questo cortometraggio bello come il testo di Giono, recitato dalla voce di Toni Servillo. Ho scoperto che qualcuno l’ha caricata anche su Youtube. Vi assicuro: una delle mezz’ore meglio spese della vostra vita.