In questi giorni – in quell’evento mediatico che è il Festival del Cinema di Cannes – Quentin Tarantino ha voluto rendere omaggio a un suo mito: Sergio Leone (e ci aggiungo, con tutta la mia modestia, il degno compar suo: Ennio Morricone) per i 50 dalla realizzazione di Per un pugno di dollari. Il primo film della “trilogia del dollaro”.
Può piacere o non piacere, ma questi film in cui da una parte ci sono i buoni e dall’altra i cattivi, come nelle didattiche e didascaliche storie che si raccontano ai bimbi, come nei fumetti, come nel mondo che – per economia cognitiva – vorremmo vivere, a me piacciono. Nella follia di un mondo senza leggi “tangibili” – lo sceriffo del minuscolo gruppo di case sperduto nel nulla riarso che affaccia verso il Messico è in realtà il capo di una delle due fazioni in contesa – l’unica legge e l’unica “morale” è quella che hai dentro (da qui il legame, talvolta citato, con l’anarchia) e che realizzi a suo di colpi d’arma da fuoco (sia il fucile scelto da Ramon, sia la pistola, scelta dall’innominato Eastwood).
Ricordo anche che in questo modo – al cuore, Ramon! -, come nel duello finale, apostrofava noi ragazzi dell’ITIS «Galilei» Luciano Ferrari, il mio professore d’italiano, quando il duello era “per un pugno di voti (in più)”. Quel Ramon cattivo nella magistrale interpretazione di Gian Maria Volontè.
Così, in memoria, dell’uno e dell’altro ricordo, sabato sera ho dato inizio alla visione del primo film della trilogia, a cui, in queste sere, farò seguire gli altri.