Sugli editori di riviste internazionali

E’ almeno da quando ho fatto il master in Comunicazione della Scienza, quindi 15 anni fa, che sento parlare dello “scandalo” delle multinazionali dell’editoria: i grandi editori – Elsevier in testa – si sono accreditati presso le più importanti accademie (cooptandone professori e assegnando loro ruoli editoriali considerati di prestigio…) e hanno monopolizzato il mercato fino a creare un vero e proprio “business della pubblicazione”, con tutte le distorsioni che questo comporta, a partire, per esempio, che un libretto di 100 pagine dell’editore Springer (che ho scoperto recentemente essere di fatto all’interno del gruppo Elsevier) arrivi a constare oltre 50 dollari. Questo ha portato, per altro, a una fiorente pirateria anche in questo settore – i più informati ricorderanno lo “scandalo”* del sito sci-hub.
Tutte cose che si sanno, che si sono sempre più o meno sapute e che l’establishment accademico ha sempre più o meno accettato senza grandi rivoluzioni con due sole eccezioni significative a me note:

  1. quella dei fisici che a suo tempo crearono l’archivio pubblico alla Cornell University “arxiv” (https://arxiv.org/) ormai estesosi ad altre discipline: non propriamente una “rivista”, quanto piuttosto un luogo in cui depositare il proprio lavoro, affinché i propri risultati di ricerca, ancorché parziali, possano essere resi pubblici al fine di poterne vantare (in caso di controversie) la paternità;
  2. quella di alcuni premi Nobel che – forti della loro posizione – decidono di non pubblicare più su riviste di settore. Fu il caso, con una certa eco mediatica, di Randy Schekman, Nobel per la medicina di qualche anno fa, che espresse pubblicamente la volontà di non pubblicare più su Nature e riviste affini, come ricorda questo articolo di Wired.

Il primo dei due è un tentativo sistematico di “cambiare il sistema”; il secondo non lo è, e quindi amen, tutto procede come nulla fosse e pubblicare sembra essere – almeno per la mia modesta esperienza – una delle cose più difficili. E attenzione: è giusto che lo sia: c’è molta competizione e molta gente in gamba. Però… ci sono dei però.
E uno di questi “però” salta fuori proprio in questi giorni, quando, di fronte al tentativo di sottoporre a una rivista di settore il nostro articolo (mio e dei miei tutor), la risposta che ci arriva, dopo appena qualche giorno dall’aver assegnato al manoscritto un identificativo, è la seguente:

Dear Mr. Celi,
Thank you for submitting your manuscript to XXX. Before sending a manuscript out for peer review, the editors assess whether it is suitable for consideration for publication in XXX. For the reasons stated in this email, our preliminary editorial review found that your manuscript does not meet XXX’s requirements for sending a manuscript out for peer review. Those requirements are discussed in the Guide for Authors found on the journal website.
The general topic of EROI is, of course, very important but we do not consider your paper makes a significant contribution, nor do we believe your proposed three reviewers (whom we know) would disagree with this judgement.
We hope that this decision will ultimately hasten the consideration of your work by another journal. We are grateful to you for your interest. Although we will not be considering your current manuscript any further, we hope you will continue to consider Energy Policy for new manuscripts you may write.
Yours sincerely
Pinco Pallino
Editor of XXX

Una risposta che sappiamo essere “prestampata”: a questi arrivano certamente moltissimi articoli e i revisori vengono cooptati quasi sicuramente a titolo gratuito (perché è prestigioso e si chiama pagamento in ego anziché in euro; inoltre la rivista non ci guadagna abbastanza se questi signori dovessero venire pure pagati…), vengono chiamati solo in seconda battuta. Gli abstract degli articoli servono a questo: ci si mette 3 secondi a leggerli e in quei 3 secondi si decide se l’articolo procede il suo cammino o si butta nel cestino. L’editor credo abbia fatto così e, poiché tra le altre cose, siamo dei perfetti nessuno, ecco che scatta in tempo zero il rifiuto. Forse l’errore è stato mio, anche, ora che ci penso. A settembre, quando si rientra, forse ci sono molte proposte che si sono accumulate (la ricerca non conosce ferie…) e forse gli editor sono presi un po’ dal panico per la troppa carne al fuoco che hanno e quindi con maggiore facilità tendono a scartare ciò che hanno di fronte. E’ un’ipotesi. Ma la cosa divertente sta nella risposta, e in particolare dove si dice: «but we do not consider your paper makes a significant contribution, nor do we believe your proposed three reviewers (whom we know) would disagree with this judgement». Nella parte che ho evidenziato è come se io avessi indicato nella mia proposta anche dei possibili revisori (cosa che su certe riviste si fa – e forse anche in questa fino a qualche tempo fa), cosa che però NON ho fatto. Quindi: non solo la risposta è “prestampata”, ma lo è in maniera maldestra e neppure “personalizzata”. Segno di grandissima superficialità e di un certo modo di fare cialtronesco, tipico di quando i rapporti di potere sono sbilanciati: loro non hanno bisogno di noi per la loro attività – mille altri ne hanno da (far) pubblicare – mentre noi (io in particolare, come “anello debole” del gruppo) sì. Quindi la storia si conclude stamattina con la mia risposta (perché la cialtroneria merita una risposta, comunque) all’editor:

Dear Mr. Pinco Pallino,
I’ve found funny enough your preprinted answer: I did not propose any known or unknown reviewer.
My advice is to better check your preformatted answers and customize them better.
Kind regards.
Luciano Celi

Sia chiaro: non che fare le nostre rimostranze serva a qualcosa. Serve a far star meglio noi perché abbiamo dato dei cialtroni alla rivista – o meglio: al suo editor – ma non cambia né il mondo né la sostanza delle cose (purtroppo).

*Metto tra virgolette la parola “scandalo” perché è uno scandalo che non scandalizza più nessuno (se mai qualcuno abbia mai scandalizzato).