Lontano nello spazio e nel tempo. E, come si diceva una volta, “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Due giorni fa ricorreva l’eccidio – 12 agosto 1944 – di Sant’Anna di Stazzema, per me un posto dietro casa. Era da molti anni che non ci andavo e credo che almeno una volta faccia bene a tutti un po’ di pellegrinaggio in qualche luogo della memoria, in qualche luogo dove sono accadute cose gravi da non riuscirsi a dire. Serve. Serve a resettare, a ricalibrare alcuni dei parametri delle nostre esistenze. Serve come antidoto alle notizie che arrivano dall’altra parte del mondo, dagli Stati Uniti di “The Donald” che con blando ammonimento condanna l’episodio di Charlottesville, gettando benzina sul fuoco di un paese che – scopro dalle fredde statistiche di un libro di economia – è tra i più iniqui tra quelli sviluppati e del primo mondo (e, chissà come mai, la cosa non mi sorprende affatto).
Le svastiche dei suprematisti bianchi sono un simbolo, forse. Forse fumo negli occhi, ma un fumo che irrita e fa male quando, si arriva al paese di Sant’Anna, bellissimo, incastonato a 600 m sul livello del mare, con una vista spettacolare sulla Versilia. Un posto dove non diresti mai che sarebbe potuto succedere l’abominio che accadde. Un paese che è diventato integralmente un museo, un luogo della memoria. E se ancora si vanno ad ascoltare e a leggere le testimonianze dei sopravvissuti, all’epoca bambini o adolescenti, di un intero paese che contava 560 anime, viene ancora e sempre da piangere. Sono due cose molto lontane tra loro. Questi imbecilli d’oltreoceano non credo abbiano idea di ciò che fu. E se un’idea ce l’hanno, è sbagliata.