su alcune non recenti disaffezioni

Stamattina ho spento la radio. Un po’ per il conduttore di prima pagina a tratti indisponente e al limite del qualunquismo, un po’ perché l’informazione sembra vivere ormai (da quanto tempo?) nel “pantano” di un immobilismo in cui non c’è realmente nulla da comunicare, nulla di cui realmente occuparsi che valga la pena di essere annunciato al mondo e dibattuto pubblicamente.
Sembrano tutte – e qualcuno coniò questa felice locuzione – “armi di distrazione di massa”. In queste ultime ore, spentisi i riflettori sulle sciagurate emergenze italiche legate alle alluvioni, ben consci che l’emergenza non smette d’incanto quando i riflettori si spengono, si sente parlare (1) della Cristoforetti nello spazio (e più che dire a un certo punto “beata lei” e “brava” non c’è molto altro da commentare) e (2) del medico italiano contagiato da ebola.
60 milioni di persone che si sentono ripetere come un mantra da giorni a ogni edizione di tg e a ogni aggiornamento della cronaca queste due non-notizie che riguardano due italiani. Tutto il resto continua a essere imbarazzante chiacchiericcio politico-istituzionale, dove sembra che lo spazio per il dialogo e il confronto vero sia scomparso (ormai da qualche lustro, per la verità).
Il partito al governo, acefalo, multicefalo, fa e dice cose che entrano in contraddizione tra loro e tutto il resto (quello delle “minoranze”…) sembra davvero una chiacchiera senza importanza per la quale all’immobilismo ontologico di chi ha il potere (e sa di averlo) si contrappone il delirio verbale di chi quel potere non ce l’ha.
Tutto senza importanza per la vita delle persone, intendo. La vita vera, fatta di un quotidiano che in molti casi non lascia spazio a elucubrazioni e a “pippe mentali”, pippe il cui unico scopo sembra essere davvero quello della “distrazione” dai problemi veri. Ho ascoltato questo audio nel quale mi sono imbattuto quasi casualmente che credo ben riassuma la questione (va ascoltato fino in fondo ma dura cinque minuti): http://youtu.be/SBmGsDbHwLs?list=UUNTJ8IJ5dDJgSFQHWjSjkVQ.
Audio che mi ha fatto venire in mente questo altro bel pezzo che citai tempo addietro altrove. Il pezzo parla di una “angustia di orizzonte” apparentemente tutta italica (anche se credo che ci sia un bias legato alla prospettiva…) ma le considerazioni qui espresse mi pare continuino a valere: http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap20_VIIIa.htm#ghetto
In questi giorni un altro mantra è il coro unanime nel commentare le elezioni regionali in Emilia e Calabria: ha vinto il partito degli astensionisti, la democrazia sta fallendo nei suoi obiettivi di partecipazione, ecc. (anche qui: la fiera dell’ovvio).
Dell’informazione pubblica e del suo livello non possiamo forse dire la stessa cosa (e non a partire da oggi)?
liberta_di_stampa

Eternit da qui all'eternità

L’eternità della dannazione che le persone invocano dopo aver ascoltato la sentenza d’appello che – vizietto tra i tanti del nostro paese sfigato – ribalta completamente per prescrizione la precedente sentenza nella quale si condannava, per il processo Eternit, il magnate svizzero a 18 anni di reclusione e al risarcimento dei familiari delle vittime.
La giustizia dell’ultra terreno, valvola di sfogo religiosa che tutti i popoli hanno (avuto) per colmare le ingiustizie della vita terrena. C’è stato un periodo nella recente storia d’Italia in cui il credo religioso, pur forte, ha subito qualche flessione e le persone meno miti e meno inclini a piegare il capo nei confronti del potere hanno imbracciato le armi, dando seguito (forse involontariamente) a prescrizioni veterotestamentarie…
In quel periodo della recente storia d’Italia sembrava, paradossalmente, le cose andassero un po’ meglio: parla, fai, decidi, governa, ma fai attenzione a come ti muovi: qualcuno ti tiene d’occhio e come diceva una vecchia amica, “se chiudo un occhio non è per benevolenza, ma è per prendere meglio la mira”…
Queste sentenze purtroppo fanno rimpiangere quei tempi. Qui di seguito il commento di Roberto Saviano che gira su facebook:

Caso Eternit.
A quanto pare il processo Eternit si conclude oggi, con la richiesta di prescrizione. Giunto in Cassazione dopo due condanne a 16 anni in primo grado e a 18 anni in appello per il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, il processo molto probabilmente si fermerà qui. Un processo epocale, il primo processo all’Eternit in Italia. Il primo processo che ha riconosciuto le responsabilità penali dei vertici di Eternit per le migliaia di vittime (circa tremila tra morti e ammalati) da amianto negli stabilimenti di Casale Monferrato, Cavagnolo, Bagnoli e Rubiera.
Schmidheiny sapeva che l’amianto era cancerogeno, sapeva che i suoi dipendenti si sarebbero ammalati fino a morire di una morte atroce, ma ha negato, minimizzato, per questo la condanna era stata esemplare.
Eppure nulla, anche in questo caso tutto sarà bloccato dalla prescrizione.
Ecco, in tempo di riforme costituzionali, per onestà, bisognerebbe chiarire una volta per tutte che l’Italia è una Repubblica fondata sull’istituto della prescrizione.

l'amarezza per la sentenza Eternit

l’amarezza per la sentenza Eternit

sensibilità ambientale

In programmazione “in questi giorni” (ma i giorni cambiano molto anche in funzione di dove si vive) due film di richiamo ambientale. Il primo è di fatto il backstage del grandioso progetto di Sebastiao Salgado – il celebre fotografo brasiliano – «Genesi» la cui mostra (fotografica appunto) è un gigantesco affresco della nostra casa, il pianeta Terra: Il sale della Terra.
Una mostra che ho visto a Venezia e lascia lo spettatore “occidentale” – quello bombardato spesso da (inutili) stimoli e da (inutili) immagini – meravigliato di fronte a tanta magnificenza, a tanta (bio)diversità di paesaggi, di situazioni, di luoghi. Segno in realtà che la nostra vita, condotta nell’autoreferenziale Occidente, è in realtà povera di questa “globalità” utile e necessaria a intravvedere la complessità del mondo (in tutti i sensi). Pensiamo di sapere molte cose e non sappiamo niente. Si esce dalla mostra con questo pensiero e molto interessante dev’essere l’aver filmato il modo in cui Salgado ha dipinto il suo affresco, sotto l’esperta regia di un altro grande regista di affreschi (il mio preferito per l’antico Il cielo sopra Berlino): Wim Wenders.
Il secondo film è quello di Christopher Nolan, Interstellar. La fantascienza mi ha sempre affascinato perché – da quando lessi un po’ di psicologia freudiana – mi è sempre più sembrata una gigantesca “seduta psicoanalitica dell’umanità” in relazione alle proprie paure, scaturite dalle scellerate scelte (tutte “da pagare”: nulla è gratis a questo mondo…) o da fantasmi legati a tecnologie che a un certo punto vanno fuori controllo. La trama è la fuga dal pianeta, flagellato ormai da insanabili (e bibliche?) piaghe atmosferiche che rendono decisamente più ostica la vita sul pianeta. Da lì parte la “caccia” al pianeta alternativo da poter abitare e tutta una (fanta)scienza ben analizzata nel (vecchio: 1994) saggio di Kip Thorne Black Holes and Time Warps: Einstein’s Outrageous Legacy (qui il link al libro, ancora pubblicato) a cui ovviamente in tempi recenti si è affiancato un altro volumetto che tratta della scienza vera e propria presente nel film: The Science of Interstellar (qui il link).
Insomma, pare proprio che l’ambiente – sia che appaia nell’obiettivo di un fotografo famoso, sia come causa di una (fanta)scientifica fuga causata da una mutazione climatica di cui l’umanità è responsabile – è tornata nelle priorità della nostra specie, mentre nel piccolo qui in Italia abbiamo a che fare con le continue esondazioni, con i “morti da clima” e Washington e Pechino per la prima volta si siedono al tavolo-capezzale del mondo per firmare un trattato di abbattimento delle emissioni…

Wim Wenders e Sabastiao Salgado

Wim Wenders e Sabastiao Salgado


 

profondo nord: idiosicrasie lombarde

Venerdì pomeriggio sono andato, per una “toccata e fuga” legata a un convegno, a Bergamo. Bergamo, profondo nord, quello anche un po’ leghista, quello che alcuni suoi abitanti pensano essere mediamente meglio del resto della nazione per operosità e qualità di quel che ha e produce, ecc. ecc.
Ebbene: intanto scendo da Italo che ha i 15 minuti di ritardo che non mi permettono di prendere il regionale che avevo immaginato. Questo perché (1) il ritardo è sufficiente a farmi perdere il treno in questione e (2) il treno in questione – uno dei pochi diretti che da Milano Porta Garibaldi porta a quello che ancora è un capoluogo di provincia – è al binario 18, un binario strategicamente introvabile se il treno, com’è stato il caso mio, arriva al “piano di sopra”. la grave colpa è non essere mai sceso alla stazione di Porta Garibaldi (Milano, profondo nord, a qualche mese dall’Expo 2015, stazione capolinea dell’Alta Velocità…) e quindi di non sapere che la stazione sta su due piani e che i binari dal 14 al 20 stanno sotto. Ma agli autoreferenziali milanesi evidentemente non interessa mettere uno o più cartelli di indicazione per il povero sventurato che lì ha da scendere, ha poco tempo e vorrebbe raggiungere nel più breve tempo possibile il proprio treno.
Niente da fare: mi arrendo e prendo quello dopo. Certo il servizio è frequente ma è una salto a ostacoli: per fare i 50 chilometri che separano le due città del ricco e industrioso nord, bisogna cambiare minimo 1 volta se non 2. Mi va bene: cambio solo una volta e mi faccio i miei 20 minuti di decantazione a Lambrate, luogo che frequentai assiduamente qualche anno fa per lavoro (e la cui frequentazione oggi, a distanza di 4 anni, non rimpiango nemmeno per un secondo…).
Cerco conforto in una macchinetta distributrice di generi e vivande, ma dal vetro vedo un tramezzino e un pacchetto di patatine “appesi” tra il dispenser e il vetro; il monito è chiaro: lascia perdere. Potrei andare al bar ma affrontare altra umanità che sgomita e schizza a destra e sinistra mi fa desistere.
Idem al ritorno: scendiamo a Pioltello Limito per il cambio che ci permette di arrivare a Porta Garibaldi a prendere il treno che ci porterà a Firenze. Si capisce che stanno facendo dei lavori, ma questo non giustifica l’andazzo: sembra ci abbiano bombardato, non c’è un segnale, un cartello, un orario! Sui treni, gestiti ormai da “Trenord”, si viaggia su vetture alta capacità dismesse dalle ferrovie: non un annuncio e se ti affacci con difficoltà si riesce a vedere in che stazione si è. E penso a me che sono ancora sufficientemente giovane e aitante. E gli anziani? E gli stranieri?
Lo sfogo un po’ qualunquista non è solo per lo status quo al solito deprimente, ma per la presunta superiorità – assolutamente ingiustificata – che mediamente gli abitanti del nord (con i lombardi in testa) hanno nei confronti del resto della nazione: prima di pensarsi meglio degli altri, bisognerebbe provare a guardarsi intorno e capire dove si vive…

la macchinetta distributrice alla stazione di Lambrate

la macchinetta distributrice alla stazione di Lambrate

la classe operaia va in ospedale

Una volta andava in paradiso, come unica promessa per l’inferno nella quale era costretta a vivere e nella quale ancora vive, come dimostra questo articolo di Internazionale (con annessi link): http://www.internazionale.it/articolo/2014/10/27/reparti-confino-in-italia-9
Basta che mi volti indietro e ricordi le sveglie di mio padre. Altra generazione, di quella dannata e fortunata che è stata assunta in un’azienda e in quella stessa azienda è andata in pensione. Scherzosamente – parlando di questa cadenza e di questa regolarità – dice: «Ho fatto 12 anni il mattino, 12 il pomeriggio e 12 la notte». Totale: 36 anni, 6 mesi e un giorno di lavoro, come prevedeva la legge.
Ho sentito la concitazione di Landini qualche sera fa nel salotto di Fabio Fazio, in contrasto con il professionismo di quest’ultimo, fatto di una certa (ormai devo dire anche un po’ stucchevole) distanza, “correttezza politica”, understatement. La parte del bravo ragazzo – “a modo e per bene”, come cantava Giovanni Lindo Ferretti – che alla lunga viene a noia e lascia in telespettatori come me il forte senso che nulla tocchi realmente il conduttore, protetto dalla sua fama e dalla barca di palanche che nemmeno in 10 vite guadagnerò.
Ho sentito l’incazzatura di Landini questa mattina alla radio, per le botte prese e gli scontri con la polizia. Le parole sono quelle rilasciate qui. Le parole di una persona esasperata da una pastoia dalla quale questo paese sembra non uscire. Ogni tentativo di mediazione e dialogo per la rivendicazione di un qualche diritto finisce sotto i manganelli della polizia. Invariabilmente. Da anni.
Gli operai. Tenuti in gran considerazione ai tempi del padre, adesso non contano niente – come dice lui stesso commentando laconicamente le immagini che passano per televisione. Ed è vero: le “morti bianche” anziché diminuire aumentano, e in generale è una classe di lavoratori di cui non si sente più parlare. Si parlava piuttosto di noi, anche lì neppure troppo, quando in qualche occasione abbiamo fatto degli scioperi da macchinisti delle ferrovie dello stato. Solo perché il macchinista ha un grande potere contrattuale: se incrocia le braccia i treni stanno fermi.
Ma anche quella è una stagione durata poco: la connivenza delle forze sindacali della “triplice” e le “naturali” spaccature tra i lavoratori hanno fatto il resto. Sono rimasti gli autonomi a tentare di rappresentare i lavoratori perché essi stessi in primo luogo lavoratori (e non delegati sindacali che si sono dimenticati come si sta in fabbrica o su un locomotore).
Così nella tragicità della notizia, saluto la notizia stessa come qualcosa che riporta al centro dell’attenzione i problemi veri e non, come dice in modo veemente Landini «le cazzate della Leopolda».

scontri in piazza ieri

scontri in piazza ieri

Io, da europeo, mi ricordavo Sabin

Oggi Goggle celebra con un doodle i 100 anni dalla nascita di Jonas Salk, medico e virologo che sconfisse la poliomielite. Ora a me pareva che il medico che fece questo mestiere fosse un altro. Così – pur con tutti i limiti di attendibilità che può avere questa fonte – sono andato a leggermi i profili Wikipedia dell’uno (Salk) e dell’altro (Sabin).
Provate a leggerli anche voi e ditemi quale vi sembra il più convincente. ma tant’è: ogni nazione, anche la statunitense Google che di una nazione ha il fatturato, ha (bisogno de)i suoi eroi e quindi festeggia l’uno piuttosto che l’altro…

doodle su Jonas Salk

doodle su Jonas Salk

Un Fenoglio stellare

La notizia mi era sfuggita, ma Margherita, figlia dello scrittore, ha fatto sì che non mi perdessi questa ulteriore (e meritatissima – ma si sa: io sono di parte) consacrazione dello scrittore albese Beppe Fenoglio. Proprio in questi giorni gli è stato dedicato un pianetino (che evoca tanto “Il piccolo principe”…), un asteroide (che evoca tanto il videogioco più bello della mia infanzia: Asteroids, appunto) su indicazione (e per espressa volontà) dell’astronomo Mario Di Martino e del divulgatore scientifico Piero Bianucci.
Domenica ho quindi acquistato «La Stampa» per  vedere la notizia nella sezione “cultura e spettacoli”, ridotta però a un modesto quadratino. A pagina intera invece un articolo di Pietro Negri che racconta della Resistenza nell’albese e di fatti per lo più noti a chi ha seguito la vicenda letteraria e biografica di Fenoglio. Un aspetto che comincia davvero a darmi fastidio – anche se forse è sempre stato così un po’ ovunque e il Piemonte in questo mostra di non essere secondo a nessuno – è l’atteggiamento “medievale”, nel senso del Guzzanti-Pizarro quando dice che «stiamo ar medioevo».
Un medioevo fatto di feudi più o meno metafisici per i quali e nei quali sei titolato a scrivere, vieni ammesso al circolo se e solo se come requisito minimo fondamentale sei di quel posto. Poi certo viene anche la bravura, ma dopo. L’ultimo convegno – in questi anni un paio di ricorrenze, visto che Fenoglio è nato nel 1922 e morto nel 1963, quindi rispettivamente 2012 e 2013 sono stati anni di anniversario – di “studi fenogliani” ha visto tra gli invitati importanti quasi esclusivamente piemontesi che si sono occupati di Fenoglio  a vario titolo, lasciando fuori nomi importanti come quello di Luca Bufano (curatore dell’edizione Einaudi di «Tutti i racconti»). Così accade che il pezzo in questione sia firmato da Piero Negri, di professione giornalista musicale, che ebbe la ventura (1) di pubblicare con Einaudi una biografia piuttosto scopiazzata dal professor Bufano di cui sopra; (2) di vincere – con quel libro – una delle poche edizioni del premio Grinzane-Fenoglio, costola del Grinzane-Cavour, prima che il suo patron, Giuliano Soria, fosse travolto dallo scandalo di schiavizzazione del suo domestico (e forse anche da qualche problemino economico) e (3) di scomparire nuovamente, tranne ricomparire ogni tanto sulle pagine de «La Stampa».
E sia chiaro: posso assicurare che non è il discorso della volpe che non arriva all’uva. L’invidia è un sentimento che non mi appartiene o, qualora così fosse, mi appartiene molto meno del senso di giustizia.
Per fortuna ora Fenoglio sta tra le stelle fisiche e non si cura di queste meschine vicende umane. Nel cielo stellato di quelle letterarie c’era già da tempo.

Attribuzione NASA a Beppe Fenoglio

Attribuzione NASA a Beppe Fenoglio

Una notizia buona e una cattiva

Prima quella buona o quella cattiva?
Quella cattiva: il PIL (prodotto interno lordo, tradotto per assonanza linguistica da Cetto La Qualunque con Pilu, di tutt’altra matrice semantica…) è aumentato di botto di 59 miliardi di euro: «sommerso e illegalità valgono il 12,4 %», recita un recente articolo online de Il Sole 24 Ore.
Ora: l’impressione/commento da cittadino profano è: «stiamo raschiando il fondo del barile». Il “sommerso” si chiama così perché è sommerso, quindi non si vede e, mi vien da dire, visto che è “nero” se se possono fare stime e neppure dare delle cifre esatte. Perché questo dovrebbe entrare nel conteggio visto che si tratta di una stima spannometrica? Misteri dell’economia e della finanza…
Quella buona: parte Orange fiber, startup realizzata da due giovani imprenditrici siciliane per realizzare tessuti dagli scarti prodotti dagli agrumi: a questo link il loro sito e la loro (per ora breve) avvenutura…

Le due imprenditrici di "Orange fiber":  Adriana Santonocito ed Enrica Arena

Le due imprenditrici di “Orange fiber”: Adriana Santonocito ed Enrica Arena

Belluscone, una storia siciliana

Siamo abituati a tutto in questo paese, ormai. Ma, come qualcuno sosteneva, «la realtà supera sempre la fantasia». E’ il caso di questo film documentario che pare sia rimasto a metà, tra depressioni del regista, risalite, colpi di coda, notizie di cronaca che coinvolgono almeno un protagonista durante la lavorazione.
Ogni tanto quando pensiamo a questa Italia, dobbiamo pensare anche a questo parte del paese “deprimente”, che sembra vivere senza speranza. Difficile da definire: si rimane sempre un po’ esterrefatti, un po’ “marziani” rispetto a certi ambienti (nella fattispecie: il sottoproletariato… ma penso anche ad altri documentari video come Videocracy, di Erik Gandini, del 2009 oppure Il corpo delle donne, la denuncia di Lorella Zanardo sull’uso-abuso che del corpo femminile si fa nelle tv italiane e la conseguente ricaduta nella società). Ma questo mondo, che ci piaccia o meno, esiste e ci dobbiamo e dovremo far sempre i conti.
PS: il film è stato difficile da “trovare”: la programmazione “minimale” ci ha costretti a una – per altro piacevole – gita fuori porta per vedere il film, domenica a Firenze… Lo stesso regista lancia un appello dalle pagine di Repubblica per evitarne il sabotaggio.

Belluscone... una storia siciliana (locandina)

Belluscone… una storia siciliana (locandina)

La guerra dei dati personali

Mi è arrivata una richiesta di autorizzazione sulla carta di credito da parte di Omnitel-Vodafone. A parte il fatto che non credevo ancora esistesse la società Omnitel, ma da secoli non ho un’utenza che faccia capo a questo gestore telefonico.
Leggermente sospettoso giro la mail alla banca con una richiesta di spiegazioni che, dopo qualche giorno, arriva. Sostanzialmente mi si dice che devo sentire la società e chiarire con loro. Cerco un indirizzo mail a cui poter scrivere e ovviamente sul sito Vodafone c’è di tutto tranne quel che serve: non un servizio clienti (anche se cliente non sono), né altro. In compenso sul motore di ricerca vengono fuori tutti i “risultati” della gente inviperita contro questo gestore che pare – stando a quel che si trova su web – non brilli esattamente per trasparenza e customer care.
Apprendo però che esiste un Vodafone “lab”, una specie di servizio “sperimentale” e c’è anche una mail alla quale rivolgersi: lo faccio subito e, devo dire, con inattesa sollecitudine, ricevo risposta quasi immediata stamattina, nonostante sia sabato. Risposta che però mi lascia alquanto perplesso e che, non essendoci nulla di segreto, cito qui di seguito:

Buongiorno.
Per questo tipo di informazioni la invitiamo a contattare il Servizio Clienti Facebook compilando il seguente form: http://on.fb.me/ServizioClienti
In alternativa, se le serve assistenza personalizzata su prodotti e servizi Vodafone, può fare la sua richiesta sul canale Twitter di Vodafone: i nostri operatori le risponderanno alla velocità di un tweet. http://www.twitter.com/vodafoneit#tw190

Cordiali saluti.
Vodafone Lab Staff

Ovvero: una delle società di telefonia mobile più grande d’Europa, una multinazionale, ha il suo servizio clienti su Facebook! Ho pensato: è uno scherzo o, perggio, phishing: cliccherò su questi link e il computer esploderà. Invece pare sia tutto vero: lo short link rimanda a Facebook, ma… guardate cosa mi chiedono prima di poter fruire del servizio:
schermata di facebook
Vale a dire: vuoi fruire del nostro servizio clienti? Cosa ci dai in cambio? Tutti i cavoli tuoi su facebook, la lista dei TUOI amici oltre ovviamente al tuo indirizzo mail… Insomma non mi pare un prezzo “basso” per fare una domanda! Chiaro che ho cliccato su “annulla”: la prossima volta che vado in centro, passo da un centro Vodafone e cerco di risolvere da lì…
Ce la possiamo fare? No, non ce la possiamo fare…