Rientro, a sera, da casa dei miei. Bisogna che passi, almeno una volta alla settimana. Ora che sono vicino, che nell’arco di un pomeriggio con una mezz’ora di autostrada posso andare e con l’altra mezz’ora tornare. Salito in auto però, per godermi il viaggio di ritorno, la puerile sensazione della notte, dell’on the road, decido di cambiare cd: “Without you I’m nothing”. Placebo.
Una roba vecchia, giovanile. Sull’autostrada letteralmente nessuno. L’auto fila via liscia verso sud. Mi piace essere inghiottito dal buio: cielo nero, lingua d’asfalto nera, costantemente in rifacimento, l’intermittenza della linea di mezzeria. L’auto va, silente. E’ una di quelle costruite apposta per. Pur nel silenzio, alzo il volume per lasciarmi invadere da Pure morning, la prima canzone del cd. Un bel sound elettrico e un video – di quando ancora si vedeva la tv su Video Music e poi dopo M Tv – che ancora ricordo e che ovviamente non poteva mancare nella miniera di Youtube: http://youtu.be/a4JhtoR39M0.
Come si può dimenticare l’efebico, androgino Brian Molko che oscilla dal cornicione per tutta la durata della canzone prima del colpo di scena finale? Così le note vanno avanti e arrivo all’uscita dell’autostrada: Pisa centrale, che si innesta come naturale proseguimento sulla SGC (strada di grande comunicazione) fi-pi-li. Per gli amici: solo fi-pi-li. Siamo già nel pieno della palustre piana pisana: non c’è cavalcavia che regga e se c’è il limite a 110 conviene che andiate a 90 se no volete essere emuli del Generale Lee (vi manca il riferimento? Naaa: il tamarrissimo telefilm Hazzard, con una gloriosa Ford Gran Torino a cui a ogni ripresa credo abbiano sostituito gli ammortizzatori: http://youtu.be/Of-ZRsAK6G8).
A un certo punto sulla destra barbagli di luce giallina, familiare: è proprio lei, la neonata Ikea, salvatrice di tante case italiane da arredare, per la quale gli stradini, impossibilitati a una forzata mobilitazione dalle amministrazioni locali per sistemare in via definitiva i cavalcavia di cui sopra, hanno asfaltato in tempo record gli accessi al grande supermercato del mobile e sempre a tempo record, lavorando a cottimo quest’ultima domenica, hanno realizzato l’ultima rotonda. Domani si parte.
E’ un mondo in crisi, il nostro. In una crisi tale e tanta che alla multinazionale benedetta si fanno ponti d’oro e nella grande, metafisica provincia che è l’Italia intera, la pagina del redazionale del Comune di Pisa, Pisa Informa Flash, compare praticamente solo la (non) notizia della imminentissima apertura Ikea (qui il PDF della home page).
Good night & good luck
PS: e mentre l’Ikea apre, qualche chilometro più giù Città della Scienza resta chiusa per un mancato accordo. Qui la notizia.
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E brava Silvia (e Chiara)!
«Non c’è niente di più rumoroso di una manifestazione di sordi». Così esordisce Silvia Bencivelli, ex collega del master triestino alla Sissa e anche un po’ amica, frequentata meno di quel che vorrei per il semplice motivo che ognuno a quest’età, ma soprattutto i free lance, hanno come principale occupazione rincorrere i propri guai, con l’aggravante che non abbiamo nemmeno un Roxy bar al quale incontrarci…
Così esordisce quando – alla fine delle proiezione del documentario sulla Lingua Italiana dei Segni (Lis), ieri sera al cinema Arsenale di Pisa, da lei realizzato e da Chiara Tarfano – le viene chiesta la genesi di quest’idea. L’idea arriva appunto quando, attraversando piazza Venezia a Roma, in piena mattina (avete presente che specie di girone infernale è quel posto vero, soprattutto la mattina?), in bicicletta (ma Silvia ama la vita spericolata peggio di Vasco…), sente un rumore di fondo ancora maggiore di quello già elevatissimo del traffico stradale impazzito, la cui grammatica è scandita dal clacson.
Chi è che fa così casino? Sono loro, i sordi che si battono per il riconoscimento della Lis, la lingua italiana dei segni (non ne sapete proprio nulla? La solita “pillola” Wikipedia può venire in soccorso: http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_dei_segni), come lingua ufficiale da accostare all’italiano. E’ una storia lunga questa, che meriterebbe ben più di un post. Mi fu raccontata a suo tempo da una fidanzata che nella vita faceva la logopedista e professionalmente aveva a che fare, quasi quotidianamente con questo tipo di problematiche.
Una storia che – tutta italiana nelle sue scelte miopi – racconta di come a un certo punto (cito ancora la voce Wikipedia):
Anche in Italia esiste e viene usata una lingua dei segni tra i sordi: esistono testimonianze al riguardo di educatori sordi della prima metà dell’Ottocento. Ma il Congresso di Milano del 1880 e la svolta rigidamente oralista che ad esso si accompagna impedisce che questa forma di comunicazione abbia un’ampia diffusione soprattutto in ambito educativo: proibita nelle classi si diffonde nei corridoi con un conseguente impoverimento linguistico e una conseguente mancanza di consapevolezza che la lingua dei segni italiana costituisca la lingua madre dei sordi, non inferiore alla lingua degli udenti.
Così ci siamo giocati questa possibilità di inclusione e di essere primi, ancora una volta. Infatti la questione passò sotto silenzio per quasi un secolo, fino a quando negli Stati Uniti uno studioso, William Stokoe, riscoprì quell’acqua calda che nessuno aveva considerato e grazie al suo lavoro, alle sue capacità e alla sensibilità di un governo capace di recepire certe istanze. Adesso i sordi statunitensi possono laurearsi, per esempio, presso un’università “dedicata” (la Gallaudet: https://www.gallaudet.edu/), mentre i sordi italiani devono scendere in piazza per vedersi riconoscere i diritti di cittadinanza e di inclusione basilari.
Silvia e Chiara hanno iniziato questo lavoro tre anni fa. Un lavoro del quale “mi vanto” di essere annoverato tra i produttori perché si tratta di fatto di una autoproduzione (una di quelle cose che passa sotto il nome di crowdfunding e che ha come riferimento questo sito qua: http://www.produzionidalbasso.com/), un’altra idea in qualche modo encomiabile che funziona più o meno così: voglio realizzare un progetto ma non ho i soldi per farlo. Ho bisogno di Xmila euro. Divido gli Xmila euro che mi servono in quote. Spiego via social network, mail ecc., alle persone il progetto e che per questo avrei bisogno di essere finanziato. Chiedo quindi di “prenotare” quote. Prenotare non significa che uno dà i soldi, ma che si impegna, solo nel caso il numero delle prenotazioni raggiunga la cifra stabilita, a darli. Quindi: certezza per chi realizza, certezza di vedere il “prodotto finito” – in questo caso un dvd che spero prima o dopo di avere 😉 – per chi finanzia. Così, anche per questo: brava Silvia e brava Chiara!
Ah, dimenticavo! Il sito del progetto è: http://www.segnaconme.it/ e per applaudire in Lis si fa così (si alzano le mani e si ruotano):
Fischia il vento
Il vento fischiava di sicuro sabato scorso 22 febbraio in Val di Susa. Mobilitazione nazionale per la (triste) vicenda dei quattro arrestati nientepopò di meno che per terrorismo. La storia è nota, ma per chi non ne avesse memoria, può trovarne una descrizione sommaria sul sito della Polizia di Stato che per molti aspetti pare molto meno enfatica della notizia che si può leggere invece nell’archivio di «Repubblica».
Sabato mattina al presidio di Borgone, siamo stati raggiunti e intervistati da Gad Lerner per la nuova trasmissione che andrà in onda su «Repubblica TV» e «Laeffe» domani sera alle 21,30. La trasmissione si chiama appunto «Fischia il vento». L’incipit del promo (che potete vedere a questo link) è:
C’è un paese pieno di storie, di fatti di cronaca, di persone pro e di persone contro. E’ lì che bisogna andare per scoprire dove fischia il vento.
Immagino provocatoriamente Gad Lerner ha spesso usato, con noi, in un incontro che è stato molto informale, la parola «rivoluzionari». Insomma un’accezione della parola abbastanza bizzarra, se rivoluzionario è identificato con tutto ciò che si discosta dal mainstream, da quel che sembra essere ri(con)ducibile a un vecchio motto sessantottino: «produci, consuma, crepa». Mi sono permesso di puntualizzare questo curioso uso della parola, visto che a me questa sembra la rivoluzione del buon senso. Chissà come verrà montato il video e chissà se le mie parole avranno sortito qualche effetto (dubito, ma la speranza è pur sempre l’ultima a morire): lo sapremo solo domani sera.
A onor del vero, nella puntata di «Che tempo che fa» di domenica sera, Gad Lerner, ha ovviamente annunciato il programma e anche il fatto di essere stato in Val di Susa. Ci ha fatto piacere un’affermazione che non si sentiva da tempo (ne faccio una parafrasi perché non ricordo le parole esatte): «attenti a non far di tutta l’erba un fascio e a dire che le persone che protestano siano tutti terroristi…». Ci voleva che Lerner venisse in Val di Susa per arrivare a tanto?
Ricordati degli amici
Questa mattina scrivevo a un’amica. Un’amica perplessa almeno quanto me (ma credo si sia in buona compagnia) della folgorante ascesa del signor Matteo Renzi, letteralmente fino a ieri sindaco di Firenze. Certo: non sindaco di Trino vercellese (non me ne vogliano gli amici di Trino), ma pur sempre il sindaco di una città che diventa, “senza voto”, il nuovo premier. Il puntuale Crozza non più tardi di ieri sera, nella sua copertina di “Ballarò”, faceva notare proprio questo: si tratta del terzo premier consecutivo che il parlamento propone agli italiani, senza che gli italiani siano stati di fatto interpellati. Bah, dev’essere l’effetto della “democrazia matura”…
Dacché si instaurò a suo tempo il governo Monti, per tema della debacle europea, abbiamo poi avuto Letta e adesso Renzi. Quel Renzi che mi ha fatto tornare alla mente – visto che un po’ di memoria storica ormai si è consolidata – la sempre geniale piece di Corrado Guzzanti quando interpretava Rutelli. La ricordate? Se volete spendere 5 minuti e rinverdire il ricordo, questo il link su Youtube: http://youtu.be/ZAuMv77UlDk
“Ah Berluscò, ricordati degli amici!”, questo la chiusa del Rutelli-Guzzanti che denuncia il servilismo di una sinistra che già anni fa era del tutto irriconoscibile. Un effetto straniante che si accentua se si pensa alle consultazioni del giovane Matteo Renzi che, prima della giornata odierna, sembra quasi, in quelle consultazioni, aver ricevuto la laica e potentissima benedizione proprio da quello stesso Berlusconi, del quale si continua a tacere il fatto di essere un pregiudicato.
Sic transit gloria mundi e forse, ancora una volta, Corrado Guzzanti che davvero ha un che di geniale, sembra aver ragione quando dice che alla fin fine si tratta solo di spartizioni di potere: le idee, le ideologie, sono tramontate e conta solo il potere, contano solo i soldi. Ancora una volta pesco da quella meravigliosa miniera che è Youtube: http://youtu.be/PiGjWodYTBA
L’Italia, raccontavo stamattina all’amica, ha la metafisica di un feudo: gli amici sono quelli che contano per le entrature, per un lavoro, per una carriera. Ognuno sembra avere il suo feudo: l’università, un ospedale, un reparto, un comune, una provincia. Influenza politica ed economica. Un feudo – piccolo o grande che sia – e su di esso si esercita un potere, in primo luogo valutando attentamente chi fare entrare. Questo è il gioco. E lo è a tutti i livelli mi pare: politico (di medio-alto livello: regionale/nazionale), economico, occupazionale, di semplice progressione di carriera. Una sfera piccola o grande d’interesse nel quale gli altri sono ammessi previo consenso.
Lo è, per esempio, quello del conduttore televisivo credo attualmente tra i più pagati: Fabio Fazio. Fazio ha degli amici, che – per carità – sono pure buoni amici: c’è il Saviano che ci racconta le sue indagini vicino ai poliziotti che gli fanno la scorta e “gioca” (metto le virgolette perché non vorrei venir frainteso) a fare l’intellettuale segregato; adesso c’è quel Pif, Pierfrancesco Diliberto, mio coetaneo, che ha fatto un film. Un bel film e quindi viene premiato con inviti come ospite nelle varie occasioni, sempre da Fazio, a partire da Che tempo che fa. E adesso, almeno una sera, pare sia anche a Sanremo. Così come a Sanremo va anche quel cantautore italiano, quello ahimè mio omonimo di nome: Luciano Ligabue.
Uno che, per carità, non ha mai dato prova di essere particolarmente trasgressivo. Ma i testi delle sue canzoni hanno avuto un loro perché. Penso banalmente a Non è tempo per noi:
Ci han concesso solo una vita
Soddisfatti o no qua non rimborsano mai
E calendari a chiederci se
stiamo prendendo abbastanza abbastanza
Se per ogni sbaglio avessi mille lire
Che vecchiaia che passerei
Strade troppo strette e diritte
Per chi vuol cambiar rotta oppure sdraiarsi un po’
Che andare va bene pero’
A volte serve un motivo, un motivo
Certi giorni ci chiediamo e’ tutto qui?
E la risposta e’ sempre si’
Non e’ tempo per noi che non ci svegliamo mai
Abbiam sogni pero’ troppo grandi e belli sai
Belli o brutti abbiam facce che pero’ non cambian mai
Non e’ tempo per noi e forse non lo sara’ mai
Se un bel giorno passi di qua
lasciati amare e poi scordati svelta di me
che quel giorno e’ gia’ buono per amare qualche d’un’altro
qualche altro
dicono che noi ci stiamo buttando via
ma siam bravi a raccoglierci.
Non e’ tempo per noi che non ci adeguiamo mai
Fuori moda, fuori posto, insomma sempre fuori dai
Abbiam donne pazienti rassegnate ai nostri guai
Non e’ tempo per noi e forse non lo sara’ mai
Non e’ tempo per noi che non vestiamo come voi
Non ridiamo, non piangiamo, non amiamo come voi
Troppo ingenui o testardi
Poco furbi casomai
Non e’ tempo per noi e forse non lo sara’ mai
Stiamo parlando di un signore che, siccome è amico di Fazio Fabio, va al festival. Uno che cantava questa roba qui e che un po’ ci viene comunque il vomito, no? Perché voglio dire: va bene la retorica, va bene cambiare idea, ma il “tradimento” avviene proprio da persone le cui canzoni sono state per molti quelle della formazione. E’ vero: son passati 25 anni da quella canzone, ma proprio a Sanremo, per altro a commemorare il povero Fabrizio De Andrè che secondo me si rigira nella tomba. A Sanremo. Potenza di Fazio. Potenza degli amici. Tutti gli altri, in primis i fans, che si attacchino.
Ecco, forse un buon proponimento per il futuro è: diventare amico di Fabio Fazio. Magari è la volta buona che riesco a far carriera! Sì perché puoi avere anche curriculum chilometrico – e tra i miei amici e le mie amiche non mancano le persone che potrebbero vantarne di brillanti- eppure… eppure nessuno di noi ha fatto realmente carriera. Chessò io: è diventato professore universitario, oppure general manager di una qualche azienda. Il più brillante di noi, ingegnere informatico, gestisce progetti di ricerca in realtà virtuale alla Scuola Sant’Anna di Pisa, ma credo che abbia un contratto a progetto o giù di lì. C’è qualcosa che non va in noi: con tutta evidenza non abbiamo le amicizie giuste.
Buon compleanno Galileo!
Domani è il compleanno di Galileo Galilei. 450 anni ben portati direi, visto che ancora siamo qui a parlarne e anzi, lo fa “Le Scienze” con questo articolo che lo mette di mezzo: http://www.lescienze.it/news/2014/02/12/news/illusione_irradiazione_galileo_neuroni_on_off-2008508/?ref=nl-Le-Scienze_14-02-2014
Il suo nome, dopo le osservazioni della Luna e la pubblicazione del Sidereus Nuncius arrivò fino in Cina. Ma il web aveva ancora da venire e questa storia per me ha sempre avuto del miracoloso. Ma non si fatica a crederlo se, pur con piglio agiografico, Vincenzo Viviani, suo fedele discepolo, scriveva:
[…] alle pubbliche sue lezzioni di matematica interveniva così gran numero d’uditori […] che egli fu necessitato […] d’uscire dalla scuola destinata alla sua lettura et andare a leggere nella scuola grande delli artisti, capace di mille persone, e non bastando questa, andare nella scuola grande de’ legisti, maggiore il doppio, e che spesse volte questa ancora era pienissima. […] Accrescevasi questo grido dal talento sopranaturale ch’egl’ebbe nell’esaltar le facultà matematiche sopra tutte le scienze, dimostrando con assai ricca et maestosa maniera le più belle e curiose conclusioni che trar si possino dalla geometria, esplicandole con maravigliosa facilità, con utile e diletto insieme delli ascoltanti.
Da domani fino a non ricordo bene quando (ma il sito della programmazione è questo: http://www.radio3.rai.it/dl/portaleRadio/Programmi/Page-6bcce816-c2db-4033-80fa-030e7ed0ddd9.html?section=Main#), Radio 3 (Scienza) dedica, con “Io dico l’Universo”, letture e interventi autirevoli al celebre scienziato.
Buon compleanno, Galileo!
Come rovesciare una dittatura (possibilmente ridendo)
Venerdì sera scorso, al Circolo dei lettori di Torino, ho assistito a una conferenza di Srdja Popović che aveva per titolo proprio questo: come rovesciare una dittatura. Ora: a questo argomento interessantissimo – e a questa conferenza in particolare – ci sono arrivato perché in realtà avevo un abboccamento con il suo moderatore/presentatore Luca Rastello. L’evento, finché lasciano questo palinsesto online è a questo indirizzo: http://www.circololettori.it/come-rovesciare-una-dittatura/
Con una buona dose di pregiudizio ho sempre pensato – sbagliando – che sarebbe stato (assai) difficile trovare dei sistemi alternativi alla violenza per combattere la violenza. Questo, in linea teorica e di principio, perché mi è sempre sembrato che fosse necessario l’uso “dello stesso linguaggio”: se si vogliono dividere due litiganti che si stanno picchiando, andare lì alzando il dito indice e chiedendo se per piacere possono smettere mi è sempre sembrato un atto più votato al suicidio che un modo concreto per mettere fine a una violenta contesa.
Ma l’esempio è fuorviante. E lo è perché spesso quando le forze in gioco sono estremamente sbilanciate – come nel caso delle dittature appunto, ma anche in casi specifici come quello di cittadini riuniti in movimenti che si oppongono (pacificamente) a un’opera “di interesse comune” (?!?) – giocare sullo stesso terreno (quello dello scontro violento) significa condannarsi a perdere (se si è cittadini ovviamente e non la forza di polizia o militare che sta dall’altra parte): ci possono essere azioni di logoramento, di boicottaggio (anche estremo) nella vita e nelle attività di queste persone che sono lì, pagate per sorvegliare, presidiare, reprimere, ma essere violenti è il loro mestiere, fa parte della loro “professionalità”, soprattutto in un paese come questo, nel quale – rispetto alla Serbia – ancora siamo indietro, per esempio, sull’identificazione dei poliziotti.
Sì perché in Serbia, raccontava Popović, nella Serbia di Milošević, i poliziotti avevano comunque un numero di matricola che li identificava, ben visibile sui giubbotti o sulle divise. Qui in Italia questo ancora non accade. Come non accade che dopo aver accertato dei fatti e delle precise responsabilità, come avvenne a Genova nel 2001, i responsabili in galera non ci vadano (ma in Italia davvero sembrano andarci, in galera, solo i poveri disgraziati).
Allora altre devono essere le tecniche. La prima ha a che fare col coinvolgimento: scendere in piazza – soprattutto se si ha una certa età – può essere pericoloso. Allora all’inizio di questa protesta che lui e il suo gruppo condussero nel proprio paese, ci fu l’idea di far affacciare tutti alle finestre e ai terrazzi e, in momenti convenuti, cominciare a battere casseruole. Idea che ai serbi forse arriva dall’America Latina e le cacerolas, le casseruole, regolarmente usate in Argentina per protestare pubblicamente. Pratica tanto diffusa da avere un suo preciso nome: cacerolazo la cui rispettiva voce wikipedia recita:
Il cacerolazo è un termine colloquiale della lingua spagnola con il quale si indica una forma di manifestazione pacifica e rumorosa, in spazi privati o pubblici, in cui l’espressione pubblica di protesta, o dissenso, si realizza attraverso il rumore ottenuto percuotendo coralmente degli oggetti adatti allo scopo, come casseruole (da cui il nome), tegami, pentole, coperchi, mestoli, e altri utensili simili.
È conosciuto anche come cacerolada (argentino), caceroleada, caceroleo o casserole.
L’obiettivo di un cacerolazo è generalmente una manifestazione di contrarietà al governo o a sue determinate iniziative politico-economiche.
Tuttavia, anche se più di rado, avviene che un cacerolazo sia indetto a sostegno di una determinata istanza (politica, sociale, economica,…) o in favore di una determinata causa politica.
Srdja però racconta anche che un bel giorno, nella via più centrale di Belgrado, quella dello shopping, hanno piazzato un fusto d’olio precedentemente ripulito. Su un lato ci hanno messo la foto di Milošević e sopra hanno praticato una fessura per le monetine: chi, passando, voleva sfogare la propria rabbia e manifestare il proprio dissenso contro il governo, poteva inserire una monetina, afferrare la mazza da baseball appositamente fornita e tirare una mazzata contro il bidone in corrispondenza della foto del dittatore.
Una sorta di self service dell’incazzatura insomma, per il quale fu ovviamente allertata la polizia che però ne fu molto disorientata: chi arrestare? Le persone in coda per dare una mazzata a un bidone? Gli (irrintracciabili, a quel punto, e ben mimetizzati) autori dello scherzo? Alla fine l’unico ad essere arrestato fu i pesante bidone, tra lo scherno e l’ilarità dei passanti…
La serata è stata ricca di questi aneddoti, accompagnati da un powerpoint nel quale comparivano le foto più rappresentative di questi (tutto sommato) esilaranti momenti. Un altro che cito furono le non proprio trasparenti elezioni in Russia nel 2012. Questa volta la protesta contro questa mancata trasparenza fu inscenata da pupazzetti delle Kinder sorpresa (ebbene sì, è la globalizzazione baby!) e l’idea partì da una regione remota (Barnaul, Siberia). Si chiamò la stampa e la notizia, che (anche) questa volta passò attraverso una “risata”, arrivò in tutto il mondo (il «Guardian» la dà a questo indirizzo: http://www.theguardian.com/world/2012/feb/15/toys-protest-not-citizens-russia), anche se zar Putin rimane comunque solidamente in sella…
La prima domanda dopo la ricca presentazione di questi case history fu di un ragazzo che volle sapere se, secondo Srdja, in Italia era in atto una dittatura e quali fossero secondo lui, nel caso, i metodi per contrastarla. Srdja ci ha pensato un attimo e poi ha diplomaticamente risposto nel suo ottimo inglese che non sa esattamente quale sia il livello di democrazia in Italia. Avrei voluto dirgli di consolarsi: neppure noi lo sappiamo.
Due modi per mettere in evidenza i pericoli
Nel mondo anglosassone, tipicamente, l’idea di scongiurare cause lunghe e costose da parte delle Company che producono il tal o tal altro aggeggio, gadget, elettrodomestico o quel che vi viene in mente, ha indotto i produttori stessi a evidenziare con tutta una serie di disclaimer quel che con l’oggetto acquistato NON si può fare (celebre fu il caso della lavatrice dove, nelle istruzioni per l’uso c’era scritto che non si poteva lavare il proprio gatto).
Ora: spesso in queste faccende si varca abbondantemente la soglia del buon senso e questi disclaimer diventano ridicoli o demenziali. O forse, se ribaltiamo la prospettiva, il fatto è che la gente è diventata (tendenzialmente) meno furba di quanto non lo fosse un tempo (non saprei bene a cosa imputare questa regressione verso il dummy, ma sono bene accette proposte…). Questa tendenza a mettere in evidenza l’ovvio, ha avuto tutta una sua storia anche nel nostro Paese: da amministrazioni pubbliche che, sempre per il timore di una causa civil-penale (e non per la reale salvaguardia dell’icolumità altrui…), scrivono cartelli di “Pericolo caduta: non sporgersi” in cui, appunto si recita l’ovvio, al sacchetto delle noci che avevo per le mani ieri sera a cena di cui riproduco foto con indicazioni qui di seguito:
I commenti, pur ovvi, sono doverosi: forse per leggere dovete ingrandire l’immagine, ma alla voce ingredienti c’è scritto: noci (ma va’? pensavamo fossero cavolfiori…). Poi: può contenere tracce di arachidi ed altra frutta a guscio (e questo ci sta bene per tutti quelli che hanno intolleranze di qualche tipo, anche se forse è intuibile che le noci possano essere state a contatto con altra frutta secca come “arachidi e altra frutta a guscio”). A seguire: confezionato in atmosfera protettiva (e ti vengono in mente – per l’errore, che assumiamo sia di traduzione, tra “protetta” e “protettiva”… – le noci nella bambagia: “povere noci… non abbiate paura: ora vi mettiamo in un bel sacchetto…”, ecc.). Insomma: che contenuto informativo ha questa confezione? Quale soprattutto dovrebbe averne? Voglio dire: le noci son noci, da che mondo è mondo.
Tutto questo però per arrivare a dire che, sempre nel pazzo pazzo mondo (di lingua) anglosassone (entrambi gli esempi arrivano però dall’Australia) ci sono modi pesantissimi o leggerissimi di mettere a parte di pericoli o di offrire moniti alla popolazione (anche e soprattutto giovane) sui “pericoli del mondo”. Qui ve ne propongo un paio. Il primo talmente traumatico e splatter – in salsa (primo) Tarantino – da lasciare davvero senza parole (per il cattivo gusto), per altro su un pericolo fondamentale come quello di marinare la scuola (ma bisogna avere il coraggio di arrivare in fondo al video per capire qual è il messaggio): http://youtu.be/STHpMUYeznQ. Il secondo, molto più leggero, pare sia (stato) costantemente proiettato sui mezzi pubblici (bus urbani, metro) delle principali città australiane (Sidney, Melbourne): http://youtu.be/yAVe4o-X85M.
Ecco come si possono dire cose analoghe in modi completamente differenti! O forse neppure troppo analoghe: perché un conto è morire in modo stupido perché si è fatta una cosa stupida, altra cosa è morire perché si è marinata la scuola: in questa seconda opzione c’è un giudizio morale che nemmeno il peggiore scenario di guerra è in grado di esplicitare così pesantemente (“se marini la scuola salti per aria e farai una fine orribile”…).
PS (del 10 febbraio): mi hanno segnalato, e non lo sapevo, il sito del Darwin Awards (http://www.darwinawards.com/) che offre simbolici premi post-mortem a coloro che sono riusciti a morire nel modo più stupido. Certo la morte è un argomento serissimo, ma dalle nostre vite – nelle quali la morte viene sistematicamente rimossa – talvolta sembra venir rimosso anche il più basilare istinto di sopravvivenza…
Re-posted: i kilokaga, nuova unità di misura politica
Ci sono delle volte in cui qualcuno scrive i tuoi pensieri. E lo fa in un modo che forse neppure tu li avevi così chiari in testa.
E’ il caso di questo post che, nella sua brevità, riassume lucidamente quel che è accaduto e accade in questo paese…
http://danielebarbieri.wordpress.com/2014/01/31/i-kilokaga-nuova-unita-di-misura-politica/
Buona (?!?) lettura.
E l'Arno fece bella (e minacciosa) mostra di sé…
Oggi – o ieri: dipende da quando riuscirò a mettere su questo post, data l’incertezza della connessione alla rete – 31 gennaio non sono andato a lavorare. Il telefono ha squillato appena acceso: un sms di una collega, con la quale avevo appuntamento non appena avessi varcato i cancelli del Cnr, diceva che non sarebbe andata al lavoro per l’emergenza Arno.
Guardo il web (stamattina funzionava…) e le notizie erano quelle del caldo invito a rimanersene a casa a meno che l’uscita non fosse indispensabile o urgente. L’ufficializzazione della notizia è poi arrivata da altre mail inviate dal direttore dell’Area di Ricerca in continuo contatto con la prefettura.
In effetti ieri, rientrando poco prima di cena a casa dal centro città, l’idea era del preludio a una possibile apocalisse: strade allagate ben più di una normale pioggia, acqua che riusciva a evadere per i suoi percorsi dal manto stradale con estrema difficoltà.
Una sorta di normalità dell’eccezione alla quale dovremmo essere abituati. Tra falsi allarmi (mediatici) catastrofisti e tragedie reali, ormai non sappiamo neppure più distinguere bene.
Così ho lavorato da casa un po’, almeno su alcune cose che avevo in sospeso e che, riportate a lunedì, sarebbero state di peso. Nel dopo pranzo ho fatto due passi e mi sono avventurato con la macchina fotografica sul ponte di Caprona, poco distante da dove vivo, passando dall’argine di quel fiume che tanto preoccupa tutti. In effetti la mia casa non è molto distante dal corso d’acqua più importante della Toscana, ma le alluvioni del passato qualcosa hanno insegnato: lo scolmatore è stato aperto per tempo a Pontedera (a monte di questa zona) e sebbene l’allerta sia proseguita in queste ore, la situazione sembra sotto controllo: a Pisa sono state montate le paratie e alacremente gli uomini della Protezione Civile, l’Esercito, le forze dell’ordine tutte hanno avuto l’agio di fare le cose, di preparare la città, la popolazione, loro stessi al peggio. Si arriva, insomma, pronti.
Ma, tornato indietro dopo aver scattato qualche foto dell’evento eccezionale (ne ricordo uno simile esattamente 20 anni fa, quando in una licenza militare, tornando a trovare la fidanzata pisana dell’epoca, trovai tutto sbarrato, sacchi di sabbia ovunque, il ponte di mezzo che tremava e a cui era impedito l’accesso…) come se alla fine si fosse stati in gita, il pensiero corre a quelle occasioni in cui l’acqua è arrivata senza preavviso e ha distrutto, disintegrato luoghi, cose, persone.
Penso al disastro del Vajont – da poco sono trascorsi 50 anni – o all’Arno, a Firenze, nel 1966. O ancora alle alluvioni che hanno battezzato il millennio: in Piemonte nel 2000, ma ancora prima nel 1994, poi quelle recentissime in Sardegna e a Modena. Forse, per farsi un’idea, può essere utile consultare questa pagina Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_alluvioni_e_inondazioni_in_Italia.
Ancora una volta, come si dice, possiamo raccontarla e tutto appunto, si risolve in un “esercizio di forza” del fiume, qualche disagio alla viabilità. Fors’anche qualche cantina allagata, ma sono “andato in gita” a vedere il fiume. E questo è il dato consolatorio. Consolatorio quanto lo è il metro cubo che abbiamo appena evitato. Quanto pesa un metro cubo? Era la domanda che il Marco Paolini, faceva al pubblico in quell’orazione civile che lo ha reso famoso. In molti non sanno rispondere e non si ricordano. Rimangono disorientati ascoltando la risposta – una tonnellata, mille chilogrammi – perché sembra esserci una intuitiva sproporzione tra il modesto volume che dominiamo con lo sguardo, che se fosse una scatola vuota riusciremmo a trasportare senza difficoltà, e il peso. Sarà che l’acqua è un elemento amico: siamo fatti di acqua e l’acqua è vita…
Meno consolatoria sembra essere la precarietà cui sottostiamo consultando quell’elenco nella pagina Wikipedia. Ma quand’è così bisogna buttarla sul “filosofico”: di certo nella vita sembra esserci solo la morte… Le cause però sappiamo quali sono, anche se costantemente facciamo finta di nulla e immaginiamo che siano cose che non ci riguardano.
PS(#1): ieri sera, durante il nubifragio, rientravo da Pisa perché ho iniziato un corso di fotografia: è ora di cominciare a usare seriamente la Canon G9 che, grazie ai terribili telefoni con i quali è diventato tropo facile fare foto (tendenzialmente di pessima qualità), è rimasta troppo a lungo nel cassetto. Così ho ricominciato a usarla per far le foto al fiume e, con l’occasione, mi sono aperto un account flickr dove – connessione ballerina permettendo – spero di riuscire a caricarle: http://www.flickr.com/photos/114340088@N08/ (ce l’ho fatta!) 🙂
PS(#2): discutendo di queste cose mi torna sempre alla mente il bel quadro di René Magritte: Le vacanze di Hegel. Un titolo impegnativo per un quadro che però ha il pregio di evidenziare l’indissolubile dualità di uno dei tanti elementi naturali – l’acqua appunto – cui sono soggette la nostre piccole vite.
Sarò breve e circonciso…
Ieri sera siamo andati a vedere lo spettacolo “Personaggi” di Antonio Albanese, al teatro Verdi di Montecatini. Albanese è noto e non ha bisogno di alcuna presentazione: può piacere o non piacere, ma dal suo spettacolo – il cui titolo generico era necessario per portare in scena i tanti personaggi interpretati in questi anni, da Epifanio in poi… – sono rimasto favorevolmente colpito da un paio di cose:
- gli “intervalli” in cui, di colpo e senza preavviso, usciva dai personaggi per dialogare direttamente con il pubblico. Un dialogo mai banale, che spesso ha avuto il sapore della confessione sui sentimenti provati proprio nell’interpretare l’uno o l’altro, oppure narrandone la genesi. Per esempio ha detto che di Cetto La Qualunque, uno dei suoi cavalli di battaglia che negli ultimi anni lo hanno reso celebre, anche al cinema, se ne vergogna. Dice che di politica in realtà lui non se n’è mai occupato (anzi, per essere precisi ha detto: “io sto alla politica come Polifemo sta allo strabismo… oppure come Formigoni sta al Kamasutra”) ma l’idea ha preso forma andando ad ascoltare comizi elettorali di politici di piccolo cabotaggio, così come di levatura medio alta. E la frase, titolo di questo post, per inciso, è stata pronunciata realmente da un politico che adesso è senatore della Repubblica. Insomma: Albanese dice che il personaggio Cetto è in realtà un moderato rispetto ai politici veri e che i comizi elettorali sono esperienze che ti fanno passare la voglia di vivere. E poi, dice, m tocca questo “pilu” sintetico in testa (riferendosi alla parrucca che indossa) che mi mette veramente a disagio. Certo: poi se ne ride. Il compito suo, del comico, è quello, ma bisogna saper ridere come antidoto a una verità che altrimenti fa veramente male. Lo spettacolo si è chiuso con il personaggio del sommelier, uno degli ultimi che ha interpretato anche in tv. Anche qui un po’ di backstage: dice di aver partecipato al “Vinitaly” la grande kermesse del vino che si tiene ogni anno a Verona. I vini, racconta, bisogna metterli in bocca, assaporarli e poi sputarli. Il problema è che lui non ci riusciva e così dopo un’ora che stava lì alla convention e aveva assaggiato 20 tipi di vino era già bello che ubriaco. Ma pure da ubriaco la lampadina si è accesa su uno di questi strani personaggi che vengono osannati come delle divinità: un sommelier che si muoveva, circondato da una moltitudine adorante, come “un Roberto Bolle in cassa integrazione”, ovvero: movimenti strani e del tutto avulsi dallo scopo della manifestazione e, nello specifico, dall’assaggiar vino. Così nasce il personaggio del sommelier con il quale si è congedato da noi, “perché il nostro è davvero un paese strano”;
- anche per le caratterizzazioni apparentemente più sbracate ha saputo tracciare una storia, la cui fine è spesso, quasi sempre, molto amara. Una su tutte, quella dell’Alex Drastico – disoccupato e con “tre figli secchi secchi perché non hanno da mangiare” – che viene spedito a nord a curare gli affari di un capo di Cosa Nostra e la sua vita cambia e lui quasi non si rende conto di essere pedina di quel grande ingranaggio nel quale è stato coinvolto per fame, con il “miraggio” di un miglioramento della propria condizione. E ancora una volta interrompe l’Alex de la poesia uccide per tornare l’Albanese che dice, al massimo di quella serietà che solo un comico sa avere, al pubblico del “grande progetto” e del fatto che questo progetto nella sua grandezza è anche semplice: fare in modo che ci sia sempre una riserva di disgraziati e disperati a cui poter attingere.
Insomma si esce dallo spettacolo avendo riso di gusto, ma con la consapevolezza che si tratta di una risata nella quale sono impacchettate anche le tante tragedie del nostro paese.