Lì per lì ci ho creduto davvero. Perché alla fine quando navighi sul sito (anzi sul cluster di siti) dell’istituzione scientifica più celebre del mondo, un po’ di “soggezione” ti viene. Poi a fare questo scherzetto ci hanno messo Fabiola Gianotti e in effetti la cosa suonava strana: com’è che la portavoce di uno degli esperimenti più importanti di Lhc faceva un annuncio ufficiale di questo tipo per il Cern?
La storia del Comic sans è una storia in sé… comica: notoriamente (non me ne vogliano) gli scienziati non hanno avuto mai un grande feeling verso gli aspetti della comunicazione, a partire dagli aspetti apparentemente marginali come, appunto, può sembrarlo la scelta del font con cui scrivere comunicati e quant’altro, fino ai poster da presentare ai convegni (in questo ne ho esperienza diretta con i ricercatori del mio istituto…).
Il Comic sans (questo font qui), non si sa bene per quale curiosa alchimia, risulta tra i favoriti dagli scienziati. A chi, come il sottoscritto, è un po’ sensibile alla questione – avendo fatto e svolgendo ancora, almeno in parte, un’attività editoriale – è sempre sembrata una scelta più dettata dal caso che da una consapevole sensibilità: d’altra parte molta gente, anche giustamente, bada al sodo e, a parte gli inossidabili font usati da editor come Tex (LaTex e tutte le sue versioni), in molti posti probabilmente questa è invece diventata una vera e propria “battaglia”.
Questo il senso della dichiarazione e… dello scherzo: le comunicazioni ufficiali del Cern saranno tutte in Comic sans! Peccato che la dichiarazione (che trovate a questa pagina) sia datata 1° aprile… 🙂
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Hai sbagliato? Ti premiamo! LHC come "laboratorio sociale"
No, non si tratta della strategia con la quale notoriamente fanno carriera certi politici, amministratori o manager pubblici italiani. Certo: ieri sarei potuto intervenire e dirlo a Guido Tonelli, che ha tenuto la sua lectio magistralis sulla scoperta del bosone di Higgs.
Avevo intervistato Guido esattamente un anno fa di questi tempi (l’intervista è ancora disponibile sul server del mio istituto: http://www.pi.ipcf.cnr.it/intervista/), in occasione di un lavoro che stavo facendo sulla «fuga dei cervelli» (sfociata in questo libretto: http://www.ibs.it/code/9788897556107/celi-luciano/cervelli-che-fuggono-e.html). Già allora la sua carica umana, oltre che scientifica, resero molto gradevole l’interazione e per questo non mi hanno stupito le parole del rettore, che, in questo senso, non sono suonate retoriche, come troppo spesso accade in queste manifestazioni ufficiali.
E di nuovo ieri, al di là delle questioni tecniche e degli excursus storici, la parte ugualmente interessante è stata quella dell’avventura umana che Guido ha messo in rilievo immaginando che il fatto di essere un po’ proiettati nel futuro, possa essere un modo di vedere questa stessa proiezione anche in ambito sociale. Mi spiego meglio: il Cern è una realtà costituita da 42 paesi (praticamente tutto il mondo) e non ricordo più quanti mila tra ingegneri, ricercatori, fisici. Ci sono in gioco milioni di euro e tutti concorrono – nel senso di «corrono insieme» – verso un certo obiettivo.
Un ruolo di leadership in un posto come quello non viene assegnato (più o meno) “dall’alto”, come in qualsiasi altro ente (di ricerca o meno), ma – oltre a essere “fisiologicamente” temporaneo – è una forma di autorità che altri ti riconoscono. Anche perché praticamente ogni scelta viene condivisa e, come diceva Guido ieri, «se dici cazzate il tuo punteggio cala» (non lo diceva con queste parole perché era una lectio magistralis in un’aula magna e lui è tendenzialmente una persona più fine di quanto lo sia io, ma ci siamo capiti…).
Trattandosi di un meccanismo complesso, in cui molte operazioni sono controllate, ma non tutte, ci si deve fidare. Allora è sorto il problema: e se tra le mille (ma sono di più…) persone che lavorano al progetto, qualcuna di queste sbaglia, che si fa? La si punisce? Il meccanismo della punizione può essere perverso e deleterio: non incoraggia, in generale, le persone ad ammettere le proprie colpe e in un progetto come questo, dove anche i dettagli minimi possono compromettere gran parte del lavoro (raccontava Guido che una saldatura su 12mila ha danneggiato 53 magneti nel 2008 ed LHC ha dovuto fermarsi quasi un anno per risistemare il danno…), può ritorcersi contro al punto da essere totalmente controproducente.
Allora hanno pensato di cambiare le regole: se uno sbaglia – immaginando sempre che lo faccia in buona fede: chi lavora al progetto lo fa non perché è “obbligato”… – viene “premiato”, nel senso che lo siringrazia e gli si riconosce l’onestà di averlo detto pubblicamente. Questo serve a evitare danni maggiori perché si può andare a verificare lo sbaglio e correggerlo. Ci ha fatto un paio di esempi pratici che sembrano essere stati molto istruttivi per la comunità.
Ecco, Guido immagina che questa avventura scientifica, che LHC non sia solo il luogo in cui si sperimentano tecnologie al limite – perché molta dell’innovazione è “costretta” dalle richieste tecniche di ingegneri e fisici, un po’ come accade per la formula 1 in campo automobilistico: lì si sperimenta per mezzi che devono andare al limite e questo fa progredire la tecnologia… – ma può essere anche, secondo lui, il posto in cui si sperimenta una diversa forma di socialità, in un confronto che vede le persone soprattutto e in primo luogo come colleghi e non collocati in qualche punto di una scala gerarchica (sopra, sotto , di fianco). Colleghi con i quali confrontarsi e per i quali provare un rispetto ancora maggiore se dicono «scusa, ho sbagliato».