Trilogia di frontiera

Quasi casualmente mi è giunta la voce di questa specie di “trilogia informale” cinematografica (così battezzata dall’ideatore Taylor Sheridan, un mio coetaneo statunitense, sceneggiatore e regista) che mostra i diversi aspetti della moderna frontiera statunitense, interpretati da 3 registi (tra cui anche lo stesso Sheridan). Per adesso ho avuto modo di vedere i primi due: Sicario (2015) di Denis Villeneuve e Hell or High Water (2016) di David Mackenzie.
Ci si trova un po’ di nuovo di fronte alla deep America, quella lontana dai tratti oleografici della modernità, alla periferia del mondo (che sembra paradossale per un posto come gli Stati Uniti, visti, dall’esterno soprattutto, come il centro del mondo…), dove la vita è dura. Molto dura. Un curioso fil rouge che, nella mia memoria partì qualche anno fa con Nebraska (2013) e, in tempi recentissimi con Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017) di Martin McDonagh, che vidi al cinema qualche mese fa e adesso con questi due film di cui mi manca il terzo.
Storie anche edificanti – per esempio in Tre manifesti e almeno nel secondo di questa trilogia, Hell or High Water – ma che arrivano sempre e comunque dopo bagni di sangue, vendette, pistolettate, fucilate, in mondi dove non sembra possibile perseguire strade diverse, più edificanti, meno violente. Mondi senza speranza dunque, dopo ci si mette in gioco fino a rischio della vita. Forse, vien da dire, l’epopea western non è mai finita, c’è sempre un west da conquistare, forse metafisico, forse dentro se stessi, forse nel rapporto con gli altri e con la società.
Se non altro se lo scopo è quello di continuare a far parlare di sé, gli Stati Uniti ci stanno riuscendo.

Emily Blunt in una scena del film “Sicario” (2015)