Scrivo da questo ferragosto rovente, in “auto-confino” (e i motivi del confinamento autoimposto sono sempre gli stessi: la non voglia di prendere ulteriori caldi; la non voglia di condividere spazi sempre più angusti perché sempre più affollati – come spiagge e altro – con i miei consimili e via, giù da questa china…), dopo un breve giro di mattina presto, sul Monte Serra.
Motivo di questa scrittura è la dipartita di persone la cui assenza peggiora la qualità del mondo in cui viviamo: penso a Gino Strada ma, più da vicino, alla scomparsa improvvisa di una collega di lavoro del CNR, Laura, pochi giorni fa. Una di quelle persone che migliorano la qualità di un gruppo – insieme facevamo parte di quello che si occupa delle iniziative di divulgazione scientifica all’interno dell’Area della ricerca di Pisa – che mediano, che smussano, che cercano soluzioni, che si “sbattono” per dare qualità alle cose.
Ecco Laura se n’è andata, senza dire niente a nessuno. Complice la maledetta pandemia, che ha diradato i rapporti di tutti con tutti, ci eravamo persi un po’ di vista e le conferenze che organizzavamo, che pure si erano fatte online, avevano un altro sapore e un’altra natura. Scopro, dalla chat che con lei avevo su WhatsApp, che il nostro ultimo dialogo risale al 10 marzo. Non so se già a quell’epoca ci fossero avvisaglie di ciò che ce l’avrebbe portata via, ma il suo messaggio esordisce con un: “Ciao Luciano. E’ da tanto che non ci sentiamo. Ma vedo dai tuoi messaggi che stai bene e che hai in corso progetti interessanti.”
Sarà una suggestione, ma col senno di poi questo esordio suona tanto come un addio dissimulato (nel seguito del messaggio parla della sua impossibilità a partecipare a una riunione online). E allora vengono i dubbi che sempre ci attanagliano in questi frangenti: e se fossi stato più “attento”? E se fossi stato capace di leggere meno superficialmente quelle parole? E se… se… se…
L’amica (Antonella) di una mia antica fidanzata, Isabella, decise di darsi la morte – i due casi ovviamente non sono neppure confrontabili, ma la sensazione che “l’ultimo messaggio” lascia invece un po’ sì – e decise di salutare un’ultima volta tutti gli amici e le amiche. Sapevamo che in passato aveva sofferto periodi di depressione, ma nessuno sembrava capace di immaginare una cosa simile: Antonella aveva salutato tutti perché aveva deciso di lasciarci. E nessuno capì, purtroppo, nessuno fu capace di percepire quello che invece percepì il figlio del contadino protagonista di uno dei più bei racconti di Beppe Fenoglio, Il gorgo (che potete ascoltare dalla voce di Giovanni Lindo Ferretti, a questo link).
Così quello che mi rimane in questa giornata agostana, in un mondo arroventato e appiattito da questo sole implacabile, è la sensazione di non aver capito. Mi si dirà: ma non potevi capirlo, nessuno avrebbe potuto. Certo: ma la sensazione rimane. E se anche avessi potuto capire, cosa avrei potuto fare? Forse niente. Le sensazioni, le percezioni però non rispondono al cervello ma al cuore e nessun argomento razionale vale ad attenuare questa sensazione. Tutto questo passerà, certo. Ma il messaggio di Laura del 10 marzo rimane lì, nella chat, ultimo contatto, ultima battuta di un dialogo, ultimo contatto.