Segnalo velocemente – ancora oggi – due episodi scissi tra loro, ma significativi per quel che riguarda l’idea se (/che) ce la si possa fare o meno.
Il primo (micro): alla mensa del posto di lavoro – cronicamente in crisi per essere sottodimensionata rispetto al numero di utenti – si usano spesso piatti e posate di plastica. La lavastoviglie industriale non ce la fa a tenere il passo, non ci sono soldi, da tempo si parla di una ristrutturazione radicale dell’impianto, ecc. ecc. Tutto nella “norma” (?!?). Una norma che prevede una volta al giorno, per una media di mille millecinquecento persone tutti i giorni lavorativi della settimana, l’uso di posate e piatti di plastica. Ma tant’è. Oggi ho preso il passato di verdura, e ho avuto anche la fortuna di prendere un piatto vero e delle posate degne di questo nome. La bustina (per fortuna di carta) che le contiene non prevede però il cucchiaio che di solito, quando ci sono passato di verdura o altri “piatti liquidi”, viene messo a parte, in un cestellino. Oggi il cestellino semplicemente non c’era. Ho chiesto alla signora della mensa che con la massima serenità mi ha detto di prendere quello nella confezione/bustina (di plastica) delle posate di plastica (sempre disponibili). La bustina che io prendo per prendere dei tre oggetti SOLO il cucchiaio, devo aprirla, vanificando le condizioni igieniche e lasciando che tutto sostanzialmente venga buttato via. Non ce la possiamo fare.
Il secondo (macro) merita un titolo: «No alla ‘ndrangheta, sì a Versace». Leggere a questo link per credere (e se «Repubblica» dovesse archiviare la notizia altrove, la trovate comunque a questo link in PDF). Senza parole e, ancora una volta, non ce la possiamo fare.