Vorrei raccontare tre piccoli episodi distinti, ma tutti con un denominatore comune: l’onere del cittadino nei confronti dei rifiuti che produce. Già, perché in molti casi non è sufficiente pagare la TARI, bisogna (ulteriormente) mettere mano al portafoglio o trovarsi, come nel caso più “semplice”, quello della carta, nell’imbarazzo di non sapere fino in fondo se quello che si sta facendo è “giusto” – perché la sacrosanta educazione a differenziare i rifiuti finisce dove inizia la giungla delle regole e regolette di dove vivi. Partiamo dunque dal primo, la carta
Carta: non so se vi è mai accaduto di riflettere, durante la colazione, con il pacco di biscotti aperto, tra voi e voi o, come nel caso mio, tra me e mia moglie, su dove vada il confezionamento dei biscotti – quella cosa che fuori sembra innocentissima carta e dentro ha un velo argenteo che immediatamente vi fa sobbalzare e pensare (e dire): “no, non è carta! Come può essere?”. Allora cercate nelle indicazioni di smaltimento (per fortuna sempre più frequenti negli imballaggi), ma… spesso trovate questo disclaimer:
La frase incriminata – che è quella che non vi toglie dall’impaccio, ma solleva il produttore da quale responsabilità – è: “verifica il sistema di raccolta dei rifiuti da parte del tuo Comune”. Ovvero: loro producono, dicono che l’imballo dovrebbe andare nella carta, MA per essere sicuri bisognerebbe sentire il comune che dice. Il produttore del sacchetto di innocenti biscotti che in milioni di case italiane tutte le mattine campeggiano per la colazione sul tavolino, fronteggia la questione dicendo: “ascolta, dovrebbe essere riciclato nella carta, ma siccome siamo in Italia che è il paese dei campanili o ogni cantone fa come gli pare – compresa la zona in cui vivono i miei che credo sia una delle ultime in Italia dove NON si differenzia! – è bene che ti informi”. Ora, per carità, uno lo può anche fare, oppure fregarsene e, a cuor leggero, buttare nella carta o in un’altra tassonomia, meno stringente (e per questo più consolatoria per il differenziatore seriale che siamo diventati) che, almeno qui in Toscana, ha questo nome rassicurante: “multimateriale”. Multimateriale vuol dire, in potenza, tutto e questo è assolutamente fantastico perché quando hai un dubbio, per non sbagliare lo butti nel “multimateriale” che, per definizione, è la composizione multipla di materiali (diversi). Il tono vuole essere scherzoso perché abbiamo problemi più seri, ma se è vero che il diavolo si nasconde nei dettagli, questo dettaglio è il segno – l’ennesimo? – di un paese che nemmeno per cose come queste (con regole che dovrebbero essere NAZIONALI e non “verifica con il tuo Comune”, o magari con la tua parrocchia…) riesce a trovare un denominatore comune.
Amianto: il cantiere “casa nuova” – dove ci siamo provvidenzialmente trasferiti lo scorso anno prima dell’arrivo del lockdown – non è ancora finito: abbiamo “ristrutturato”un vecchio camino aperto per farlo diventare chiuso (e quindi più efficiente e sicuro). Nella ristrutturazione il muratore, dandoci giù di mazza, scopre che la canna fumaria è in eternit, di cui credo molti sappiano la storia (giusto per un “ripassino” sarebbe utile a tutte le generazioni, presenti e future, la visione obbligatoria di questo documentario). La rimuove – per fortuna abbiamo a portata di mano le mascherine FFP2! – facendo la massima attenzione a non rompere le fibre più del necessario, poi lo aiuto e lo impacchettiamo in due sacconi (è una specie di parallelepipedo 159 x 24 x 36 cm) e poi cerco di capire come smaltirlo (mentre di fronte a me, nella proprietà accanto, c’è un vecchio ricovero attrezzi con il tetto in eternit; dove vivevamo prima idem e ho ricordi di ragazzino – si parla di metà anni ’80 -, di quando ho aiutato mio padre a fare una copertura sul terrazzo di casa con… l’eternit). L’eternit è ovunque insomma ed è poco consolatorio che, se non “toccato”, è un materiale che rimane “inerte” (anche se alla lunga, esposto agli agenti atmosferici, pure lui degraderà piano piano, diffondendo quei bei filamenti responsabili del mesotelioma pleurico…), come non è consolatorio che il processo a quella specie di filibustiere di Schmidheyni – patron dell’azienda svizzera produttrice dell’amianto, la cui nocività era acclarata se non ricordo male fin dagli anni ’50 del secolo scorso – non abbia sortito nulla e la sua messa al bando sia vecchia di decenni. Quindi, da onesto cittadino, telefono al servizio preposto del mio comune e il solerte impiegato semplicemente mi consiglia di rivolgermi a “ditte autorizzate”… Cerco su internet, mi faccio fare un paio di preventivi e questo che vedete qui sotto, è quello che ho pagato meno:
Ora: io sono nella fortunatissima condizione di potermi permettere di pagare questa somma e di essere onesto, ma se una persona non potesse permetterselo? Oppure, se anche potendoselo permettere, decidesse di “risparmiare” 427 € (ragazzi non stiamo parlando di qualche decina di euro…) e nottetempo si caricasse in auto la canna fumaria di cui sopra (o la copertura – dopo averla fatta a pezzi magari senza troppi scrupoli) per “smaltirla” illegalmente nel primo campo che trova? Da subito lo Stato avrebbe dovuto incentivare l’immediata eliminazione e lo smaltimento di tutto il materiale presente sul territorio nazionale, con vantaggi tangibili per la salute pubblica (e, di conseguenza, per i conti della Sanità); invece ci si è limitati a stabilire regole (giustamente) severissime scaricando i costi sui privati, con i ringraziamenti delle ditte accreditate.
Olio: e, a proposito di “ditte accreditate”, un amico, per risparmiare qualche soldino ed essendone capace, ha deciso di cambiarsi l’olio dell’auto da solo. Mi racconta che esiste un consorzio per lo smaltimento dell’olio esausto, l’operatore di zona si trova a circa 20 km da dove vive. Telefona e chiede: lo smaltimento è gratuito, ma il trasporto (di 2 taniche) lo devono fare loro, con il suo “contributo” di 80 euro.
Ce la faremo? Mi pare di no…